i cinquecento anni del <strong>Principe</strong>: origine, fortuna e sventura di un classico
«Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro umanità mi rispondono; et non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tucto mi transferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza senza lo ritenere lo havere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, et composto uno opuscolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitationi di questo subbietto, disputando che cosa è principato, di quale spetie sono, come e’ si acquistono, e’ si mantengono, perché e’ si perdono. Et se vi piacque mai alcuno mio ghiribizo, questo non vi doverrebbe dispiacere; et a un principe, et maxime a un principe nuovo, doverrebbe essere accetto; però io lo indirizzo alla Magnificienza di Giuliano. Philippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ALESSANDRO CAMPI Introduzione 3 ragguagliare in parte et della cosa in sé, et de’ ragionamenti ho hauto seco, anchor che tuttavolta io l’ingrasso et ripulisco». Quando Machiavelli scriveva queste parole all’amico e corrispondente Francesco Vettori, il 10 dicembre 1513, era ben consapevole – al di là della contingenza, politica e personale, che lo aveva spinto alla composizione di un breve trattato nel quale condensare, ad uso d’un discendente di casa Medici e nella speranza di un reintegro nel ruolo di cancelliere che aveva perduto con la caduta della repubblica fiorentina, le cognizioni politiche apprese grazie ad «una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antiche» –; era ben consapevole, si diceva, della radicale novità delle sue riflessioni e della frattura che stava determinando rispetto alla consolidata tradizione di pensiero all’interno della quale anch’egli per molti versi s’era formato. Ma certo non poteva immaginare, sebbene dotato di una fantasia fervida e di un’intelligenza acutissima e persino premonitrice, che un testo tanto stringato ed essenziale, che sarebbe stato stampato e diffuso solo dopo la sua morte, peraltro in una versione che forse il suo autore non avrebbe approvato o avrebbe
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