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Il Principe - Treccani

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un suono retorico, avrebbe voluto che, con sem plicità,<br />

fosse stato scritto: «al fondatore dei tempi moderni».<br />

Sembrerebbe, in ogni caso, che, almeno sul piano<br />

della conoscenza dei fatti essenziali della sua vita e<br />

del suo pensiero, fosse ormai finito il tempo delle<br />

imprecisioni e, talvolta, delle autentiche nefandezze<br />

perpetrate ai danni della verità. Sembrerebbe che,<br />

passato nei libri scolastici, nelle storie della letteratura<br />

e della filosofia, il lavoro dei dotti avesse dato i suoi<br />

frutti. Ricordo che quando, molti decenni fa, sedevo<br />

sui banchi del liceo classico, il <strong>Principe</strong> costituiva, per<br />

gli studenti del secondo anno, una lettura obbligatoria,<br />

che veniva ad affiancarsi a quella del Purgatorio dantesco.<br />

Non sempre veniva letto e commentato sul serio.<br />

Ma il libro era fra quelli che si dovevano possedere; e<br />

poteva capitare o che un professore migliore di altri<br />

iniziasse i suoi scolari alla lettura diretta del testo, o<br />

che, in assenza di quel professore, qualche studente<br />

supplisse lui alla mancanza e per suo conto si avventurasse<br />

in quella terra fin lì sconosciuta. Terra pericolosa,<br />

senza dubbio, ricca di insidie non sempre facili<br />

a essere evitate, anche perché, a parte quelle presenti<br />

nelle parti più ardue, e più crude, del testo, il peso<br />

dei secolari pregiudizi poteva ben farsi sentire nei<br />

commenti, non sempre eccezionali, da cui il libro<br />

machiavelliano era corredato. Credo che oggi, nelle<br />

scuole, il <strong>Principe</strong> non costituisca più una lettura obbligatoria.<br />

Ma non sarà, tuttavia, questa la ragione per<br />

la quale vieti luoghi comuni hanno ripreso a circolare<br />

anche nel mondo delle ‘persone colte’ e sui giornali si<br />

PRESENTAZIONE<br />

13<br />

leggono talvolta cose a dir poco sorprendenti. Caduta<br />

la barriera che, almeno nei licei, era rappresentata dalla<br />

diretta, anche se incompleta, conoscenza dei testi, l’impressione<br />

è che l’onda dei pregiudizi sia ritornata a<br />

farsi impetuosa, forse, anzi senza forse, perché le cose<br />

nel nostro Paese hanno da tempo preso un indirizzo<br />

che giustifica chi lo dipinge come abitato non da cittadini<br />

virtuosi, ma da sudditi della doppiezza e dell’astuzia.<br />

Che, nella coscienza stessa degli Italiani, l’immagine<br />

di Machiavelli risenta di questa vicenda, non<br />

sorprende. A misura che i suoi concittadini tornano,<br />

con i loro comportamenti, a dar ragione ai detrattori<br />

dei loro costumi, anche il Segretario fiorentino dismette<br />

i panni curiali e regali dei quali, come scrisse a<br />

Francesco Vettori nella famosa lettera del 10 dicembre<br />

1513, soleva idealmente rivestirsi quando entrava nella<br />

corte degli antichi per ascoltare la loro parola e indirizzare<br />

a essi la sua; e di nuovo si rende simile alla<br />

maschera che i pregiudizi e la mala fede hanno, per<br />

secoli, sovrapposta al suo volto. Non escluderei, tuttavia,<br />

che al riguardo sia all’opera qualcosa di più<br />

profondo, che non concerne Machiavelli più di quanto<br />

non coinvolga il rapporto che, da anni, gli Italiani<br />

intrattengono, o piuttosto non intrattengono, con la<br />

loro storia. Un rapporto che sempre fu reso problematico<br />

dall’essere l’Italia un’unità letteraria pensata all’interno<br />

di realtà politiche particolari, che con quella non<br />

potevano coincidere adeguando a essa, assunta perciò<br />

come un’idea, non più letteraria ma politica, la propria<br />

particolarità. Un rapporto che restò problematico

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