Il Principe - Treccani
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scimento della virtù quale unico titolo per accedere ai<br />
più alti onori; l’odio verso ogni forma di tirannide.<br />
altro che autonomia dall’etica! La politica trae da<br />
questa i fini e i mezzi. Questi ultimi valgono infatti<br />
– pace al trito e banale detto che per Machiavelli «il<br />
fine giustifica i mezzi» – in quanto servono un fine<br />
moralmente degno, non qualsiasi fine politico, da quello<br />
di un redentore a quello di un tiranno. Se il politico<br />
che persegue un fine moralmente degno è costretto ad<br />
essere «non buono» o ad «entrare nel male» la sua azione<br />
può essere scusata – mai giustificata – soltanto perché<br />
il fine è eticamente nobile e i mezzi necessari.<br />
Questa lezione Machiavelli la trae anche dalla<br />
Bibbia, in particolare dal libro dell’Esodo, dove Mosè<br />
compie efferate crudeltà per poter condurre il popolo<br />
d’israele alla terra Promessa. il <strong>Principe</strong>, è bene<br />
tenerlo presente, si chiude con l’invocazione di un<br />
redentore che abbia Dio amico, come l’ebbe Mosè.<br />
Quanto al valore teorico del concetto dell’autonomia<br />
della politica, non sono necessarie molte parole per<br />
spiegare che la tesi è falsa in via di fatto e dissennata<br />
dal punto di vista educativo. È falsa in via di fatto, in<br />
quanto l’opera dei politici è sempre stata, e non può<br />
non essere, giudicata in base a criteri etici. È diseducativa,<br />
in quanto è un incoraggiamento a mal fare a chi<br />
è già in tal senso ben disposto. i politici corrotti, che<br />
invocano immunità o comprensione per le loro malefatte,<br />
proclamando che il loro operato non può essere<br />
giudicato con ordinari criteri morali, non possono in<br />
alcun modo citare in loro difesa Machiavelli.<br />
MauRizio ViRoLi<br />
336<br />
anche la convinzione che il <strong>Principe</strong> ha perenne<br />
valore teorico perché inaugura il moderno realismo<br />
politico – tesi ormai diventata luogo comune e accolta<br />
da tutte le enciclopedie di storia del pensiero politico<br />
e filosofico – è esposta a serie obiezioni. È vero che<br />
nel cap. XV Machiavelli scrive che «sendo l’intento<br />
mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più<br />
conveniente andare drieto alla verità effettuale della<br />
cosa, che alla immaginazione di essa»; ma è difficile<br />
qualificare come esempio di realismo politico uno<br />
scritto, quale è appunto <strong>Il</strong> <strong>Principe</strong>, dedicato esplicitamente<br />
alle «azioni degli uomini grandi», alle «grandi<br />
cose», ai «grandissimi esempli». Per sua natura il realismo<br />
politico guarda all’azione politica ordinaria,<br />
consueta, comune e diffida degli esempi straordinari.<br />
Chiudere poi un’opera sul principe e sui principati<br />
con un’esortazione a liberare l’italia dai barbari è<br />
scelta del tutto inconciliabile con lo stile proprio del<br />
realismo politico. Se c’era un fine non realistico, agli<br />
inizi del Cinquecento, era proprio la liberazione<br />
dell’italia dal dominio straniero.<br />
Machiavelli, nel <strong>Principe</strong> e in tutte le sue opere<br />
politiche è stato un realista sui generis che guardava<br />
alla realtà effettuale, ma sapeva anche immaginare<br />
realtà molto diverse da quella del suo tempo e ha<br />
cercato caparbiamente i modi per fare diventare reale<br />
la realtà immaginata e auspicata. ha scritto i Discorsi<br />
sopra la prima deca di Tito Livio per esortare qualche<br />
giovane di animo generoso a mettere in pratica la<br />
saggezza politica dei Romani che egli aveva distillato