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UN “GRUPPO SPONTANEO”<br />

A partire dall’autunno <strong>del</strong> 1983 un gruppo di circa 15-20 giovani iniziò ad incontrarsi regolarmente ogni settimana<br />

con l’intento esplicito di affrontare quei problemi che parevano non interessare né la società civile né il popolo<br />

<strong>del</strong>le parrocchie. In quegli stessi anni e per la prima volta si presentarono alla ribalta <strong>del</strong>la storia italiana i problemi<br />

<strong>del</strong>l’obiezione di coscienza all’esercito, la chiusura dei manicomi e l’inserimento obbligatorio dei disabili nelle<br />

scuole normali e non più speciali. Partendo dai grandi ideali di pace, giustizia, uguaglianza e fraternità quei<br />

giovani cercarono di realizzarli nel “piccolo” dei paesi <strong>del</strong>la Riviera <strong>del</strong> Brenta nei quali abitavano.<br />

L’ideale di pace spinse a contattare tutti i giovani che ogni anno erano chiamati alla leva militare per presentare<br />

loro l’opportunità di svolgere il servizio civile alternativo. Si andava all’ufficio anagrafe <strong>del</strong> comune, si chiedevano<br />

gli indirizzi <strong>del</strong>la “classe” interessata che poi si ri<strong>copia</strong>vano su centinaia di lettere contenenti l’invito ad un incontro<br />

presso le sale parrocchiali di Fiesso, Pianiga, Dolo durante il quale si distribuivano gli elenchi degli enti presso<br />

i quali poter svolgere il servizio. Quel lavoro entusiasta convinse, negli anni, <strong>una</strong> decina di giovani a scegliere il<br />

servizio civile e ha dato i suoi frutti con l’arrivo, nel 1990, di Raimondo, primo obiettore di coscienza inviato dalla<br />

Caritas diocesana di Padova alla neonata associazione per sostenere Ennio e i progetti crescenti sotto “<strong>Il</strong> <strong>Portico</strong>”.<br />

Fino ad oggi sono quasi trenta i giovani che hanno svolto presso l’associazione il servizio civile alternativo o quello<br />

nazionale, decollato 2 anni fa. 30 giovani che hanno rifiutato l’esercito come struttura ormai appartenente alla<br />

preistoria <strong>del</strong>l’umanità ed hanno compreso, come fu scritto in un nostro “proclama”, che “le uniche guerre da<br />

combattere, con le armi <strong>del</strong>la ragione, <strong>del</strong> dialogo e <strong>del</strong>la nonviolenza, sono quelle contro la fame, lo sfruttamento,<br />

la povertà, la disoccupazione, le malattie, l’inquinamento, l’emarginazione, la discriminazione…”e che “Questa<br />

lista di conflitti e di mali sociali che ciascun essere umano può completare con le proprie sofferenze, non è mai stata<br />

ridimensionata dalle guerre che hanno invece moltiplicato a dismisura dolore, odio, disagi e tensioni”. Grazie alla<br />

loro decisione, anche “<strong>Il</strong> <strong>Portico</strong>” è potuto crescere come segno di un mondo inedito nella storia umana, ritmata<br />

da guerre fratricide accettate acriticamente dalla gioventù esaltata dal militarismo, dal nazionalismo e da interessi<br />

vergognosi, camuffati come valori ideali.<br />

INCONTRO CON LA MALATTIA MENTALE<br />

Gianni e Mario furono i primi ragazzi “diversamente abili” a frequentare la casa di Ennio e da allora questa<br />

accoglienza si è mantenuta attiva fino ad oggi, finalizzata a condividere la festa con chi ne rimaneva escluso e,<br />

senza volere, impediva ai suoi parenti di goderla serenamente. Allora non si poteva prevedere che l’incontro con<br />

persone affette da disturbi mentali sarebbe diventato in pochi anni il settore prevalente di intervento <strong>del</strong>la futura<br />

associazione. Non fu <strong>una</strong> decisione <strong>del</strong>iberata. I disabili fisici o sensoriali, in possesso <strong>del</strong>le proprie capacità<br />

mentali, sanno anche aggregarsi e difendere i propri diritti. Diversa invece è la situazione <strong>del</strong>le persone con<br />

insufficienza mentale o affette da disturbi <strong>del</strong>la personalità (definiti spesso come “matti”). Costoro vivono protetti<br />

(o nascosti!) dai parenti, non hanno voce nel contesto sociale che, forse per l’ignoranza, alimentata dalla paura di<br />

rapportarsi a loro, li percepisce come “pericolosi” perché imprevedibili e tende a emarginarli o addirittura a<br />

riproporne la segregazione in ambienti controllati. Questi pregiudizi non sono ancora vinti, ma la scommessa di

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