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ACCOGLIERE DI PIÙ<br />

All’inizio <strong>del</strong>l’attività associativa, il gruppo era composto per la maggior parte di giovani ”abili” e di pochi “diversamente<br />

abili”. Nell’arco di 10 anni, dall’85 al ’95, il rapporto ideale che permetteva <strong>una</strong> reale integrazione, si<br />

capovolse. <strong>Il</strong> numero di persone problematiche era continuamente aumentato, mentre quello dei volontari era<br />

diminuito. Le cause furono diverse, ma in sostanza sono due. Da <strong>una</strong> parte il servizio offerto dall’associazione era<br />

buono, perciò diversi ragazzi vennero inviati con fiducia dalle famiglie, dagli assistenti sociali, dai parroci, ecc., in<br />

<strong>una</strong> catena di santantonio che ancor oggi continua ininterrotta; dall’altro i volontari, “invecchiando”, si sposavano<br />

e venivano progressivamente impegnati dalle necessità familiari nel loro tempo libero. Questo accadde ad esempio<br />

a Luisella e ad Antonello (che aveva speso mesi interi per completare gli impianti interni <strong>del</strong>l’abitazione e per<br />

altri preziosi servizi), quando nacque Tommaso nel 1987, ma allora l’attività associativa era ridotta ed il problema<br />

si amplificò successivamente.<br />

LA MORTE DI ENNIO<br />

<strong>Il</strong> giorno <strong>del</strong> decesso di Ennio, Lorenzo, che in quel tempo svolgeva in modo eccezionale, come il suo solito,<br />

anche l’attività di assistenza domiciliare oltre a quella di presidente, chiese al medico <strong>del</strong>l’ospedale di Agordo che<br />

ne diagnosticò la morte, se si sarebbe potuto fare qualcosa per salvarlo, il medico gli rispose: “è un uomo completamente<br />

consumato dalla malattia, mi chiedo come abbia potuto vivere così a lungo.”.<br />

Noi, però, lo sapevamo. I coetanei di Ennio che frequentavano l’AISM e che non avevano saputo accettare la<br />

malattia o che vivevano rintanati in casa erano tutti sepolti. Ennio amava la vita e l’amicizia: le aveva trovate e per<br />

questo visse più di tutti, contro ogni previsione, fino a spegnersi senza un filo di voce, ma manifestando la ferma<br />

volontà di partire per un lungo viaggio, anche il giorno <strong>del</strong>la sua morte.<br />

La sua tomba è un loculo <strong>del</strong> cimitero di Sambruson. La lapide, disegnata da Alessandro Libralesso, obiettore di<br />

coscienza e architetto, richiama il disegno di un muro e si presta a più riflessioni. Ci parla di quel muro di<br />

separazione, l’inimicizia, che secondo San Paolo (Ef. 2, 14-16) divide ancora gli uomini, e che si abbatte accettando<br />

la via <strong>del</strong>la pace che passa attraverso la capacità di incontrare la sofferenza e non di cagionarla agli altri. Ci<br />

parla anche in positivo <strong>del</strong> piccolo contributo che ciascuno può dare come pietra viva all’edificio spirituale di un<br />

mondo di giustizia e di fraternità senza attendere che gli altri si muovano per primi. La frase riprodotta sulla<br />

ceramica, è di Albert Schweitzer, filosofo, storico, medico e organista geniale, forse la più grande figura di volontario<br />

esistita al mondo; quel pensiero bellissimo rimane come l’ultimo messaggio che Ennio lancia al visitatore<br />

affinché possa rifare verso altri quel servizio che gli rese bella l’esistenza pur nella grave malattia, trasformando la<br />

sua solitudine arrabbiata in accoglienza festosa.<br />

IDEE E PERSONE NUOVE<br />

Perché “<strong>Il</strong> <strong>Portico</strong>” non rischiasse di diventare ben presto un ghetto di disagiati aiutati da pochi volonterosi, si<br />

cercò di promuovere l’attività nei gruppi parrocchiali e di valorizzare la bella sede che avevamo a disposizione,<br />

perché Ennio, che nel testamento l’aveva donata alla Caritas Diocesana di Padova, ne aveva anche vincolato<br />

l’usufrutto trentennale alla nostra associazione.<br />

Cercammo di sfruttare tutte le nostre esperienze, conoscenze ed idee per valorizzare al meglio gli spazi in modo

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