Il Sogno Di Aprire Un Ristorante
Il Sogno Di Aprire Un Ristorante
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La Chiamata della Padella<br />
ancora: le anguille, i granchi, le cicale, le vongole cornute<br />
che schizzavano l’acqua e mi facevano morire dal ridere.<br />
Ma la mia passione era il banco delle olive, tante, di<br />
diverse qualità e origini: le taggiasche liguri, le cerignolane<br />
– ne mangi una e fai quasi un pasto -, le schiacciate e<br />
le passoluna siciliane, le greche, quelle di Gaeta e poi la<br />
giardiniera e i pomodori secchi; e insieme le sarde sotto<br />
sale, il tonno e lo sgombro sott’olio e i cesti di lumache<br />
vive che andavano a spasso, cercando di eludere l’attenzione<br />
di chi voleva farle finire in pentola per poi risucchiarsele<br />
facendole uscire dal guscio; e ancora, stoccafisso<br />
e baccalà. <strong>Il</strong> tutto incorniciato da mazzi di origano,<br />
finocchietto selvatico e collane di peperoncini appesi.<br />
Non mi volevo mai staccare da quel banco, e quando nel<br />
fustino del detersivo che comprava mia madre trovai una<br />
macchinetta fotografica, fu una delle prime foto che feci.<br />
<strong>Il</strong> mio sollievo, però, erano i banchi dei pizzicagnoli:<br />
gli ultimi che visitavamo prima di tornare a casa con la<br />
fame che mi dava i morsi, aggravata dal profumo del pollo<br />
allo spiedo che avevamo in una delle sporte – mia<br />
mamma lo comprava tutte le volte che andavamo al mercato,<br />
perché non aveva tempo di preparare da mangiare.<br />
I pizzicagnoli usavano far assaggiare quello che vendevano,<br />
come la fettina di mortadella o di provolone che<br />
veniva prima sporta a mia madre, mentre io, in silenzio,<br />
senza osare chiedere, pregavo che si replicasse verso di<br />
me. <strong>Il</strong> mio sguardo doveva essere così eloquente, che nessun<br />
pizzicagnolo mi ha mai lasciato a secco.<br />
La coreografia del mercato era inoltre arricchita dalle<br />
urla dei banditori che, mescolate, creavano un suono<br />
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