Il Sogno Di Aprire Un Ristorante

La Chiamata della Padella
quello che facevi, ti piacesse o no, era per tutta la vita.
Orario regolare, mansioni chiare, semplici e ripetute e
opportuna possibilità di crescita professionale. Non si
sapeva però quando e come, perché prima dovevano
andare in pensione, o morire, quelli che c’erano prima di
te. In linea con il pensiero comune, non potevo che essere
contento e pensare alle prospettive future con sicurezza
e tranquillità – anche se poi non sarebbe andata così,
visto la crisi industriale, in particolare quella metalmeccanica,
che stiamo vivendo. Eppure non ero contento. In
fabbrica, mi mancavano il colore e soprattutto gli odori,
e quelli che c’erano non erano allettanti. Tutti i giorni
erano sempre uguali e aspettavi il venerdì per fare qualsiasi
altra cosa, bastava che fosse fuori di lì. In cucina, per
quel poco che avevo visto, non c’era mai un giorno uguale
all’altro, anzi, anche il servizio del pranzo cambiava
rispetto a quello della cena, ed eravamo in una caserma,
anche se di eccellenza. L’idea di passare la vita in fabbrica,
pur potendo fare carriera, mi faceva sentire sempre più
inquieto. Mi sentivo come quando vedi un film che non
ti piace e in più ti hanno già raccontato come va a finire.
Tuttavia non pensavo di avere altre vie di uscita: la mia
famiglia si aspettava che facessi questo, i mie amici facevano,
a livelli diversi, lo stesso lavoro e nessuno si immaginava
di prendere altre strade. Ma io volevo fare il cuoco
e sembrava una fesseria solo pensarlo. E poi, dove? Una
città industriale degli anni ’70 - ’80 offriva opportunità
abbastanza desolanti o quantomeno poco qualificanti:
anonimi ristoranti con menù insignificanti, alberghi per
gente in giro per lavoro, o ristoranti che davano una parvenza
pretenziosa ma in realtà erano solo decadenti e
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