Il Sogno Di Aprire Un Ristorante

La Chiamata della Padella
Superato il primo periodo di marce, esercitazioni varie
e cerimonia del giuramento, finalmente mi chiamarono
all’appello: “Ci serve un cuoco e tu avevi detto di essere
disponibile”. Non mi sembrava vero: la vita militare non
faceva per me e mi piaceva fare il cuoco, ed eccomi servito.
Mi presentai il giorno dopo al ristorante del circolo
ufficiali. L’ambiente era comunque da caserma: gradi,
gerarchia, qualche scherzo, ma eravamo meno di dieci tra
cuochi e camerieri e così, dopo poche settimane, si
cominciò subito a familiarizzare. Io ero preoccupato per le
mie competenze, pensavo di non essere all’altezza, ma
c’era qualcuno messo peggio di me: il solito raccomandato
che era lì per tutta una serie di vantaggi personali. In
compenso c’era un ragazzo trentino molto bravo che
aveva fatto la scuola alberghiera nella località turistica da
cui proveniva e aveva già lavorato in diversi alberghi. Era
uno abituato a stare fuori casa e a lavorare in squadra,
rispettando e facendo rispettare la disciplina e la gerarchia
- la cucina, in particolare quella degli alberghi, non
si discosta molto da una caserma.
In tutto quell’anno di militare, se cosi vogliamo chiamarlo,
ebbi la fortuna e l’occasione di imparare molte
cose dal mio chef e l’anno se ne volò via molto in fretta,
forse troppo.
Quando arrivò il congedo, tornando a casa, dovetti
prendere coscienza che avevo fatto una bella esperienza
in cucina, la mia passione, ma che la vita e il lavoro, quello
vero, per me doveva essere un altro.
Fui assunto, secondo le aspettative di tutti, in una fabbrica
metalmeccanica: contratto a tempo indeterminato.
All’epoca non esistevano quelli a tempo determinato,
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