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nuti, strafatto di marijuana. Il film porta il suo nome, Henry Geldzahler (il quale ricorderà,<br />

forse a causa della marijuana: «Fu un’esperienza favolosa. Prima di tutto perché<br />

l’ora e mezza passò rapidamente»). Riportiamo dalla filmografia commentata, in Bernard<br />

Blistène, Jean-Michel Bouhours (a cura di), Andy Warhol, cinéma, Carré, Paris<br />

1990, p. 255.<br />

7 Ognuno di questi termini meriterebbe un discorso a parte. Rimandiamo al proposito a<br />

Lawrence Alloway, Topics in american art since 1945, Norton & Company, New York<br />

1975. Ci limitiamo qui a segnalare il famoso testo di Clement Greenberg, Modernist<br />

painting (1961): «L’essenza del modernismo risiede, a mio vedere, nell’uso dei metodi caratteristici<br />

di una disciplina ai fini della critica della disciplina stessa, non allo scopo di<br />

sovvertirla, ma al fine di radicarla più saldamente nella sua area di competenza. [...] L’arte<br />

realistica e naturalistica aveva dissimulato i mezzi espressivi, usando l’arte per celare<br />

l’arte; il modernismo usava l’arte per richiamare l’attenzione sull’arte. Le limitazioni costitutive<br />

dei mezzi espressivi della pittura – la superficie piatta, la forma del supporto, le<br />

proprietà del colore – [...], nel modernismo si è pervenuti a considerarle come fattori positivi<br />

ed esse sono state apertamente riconosciute». Si veda C. Greenberg, Pittura modernista,<br />

in Giuseppe Di Giacomo, Claudio Zambianchi (a cura di), Alle origini dell’opera<br />

d’arte contemporanea, Laterza, Roma 2008, p. 85.<br />

8 Lawrence Alloway, Realism as a problem, in Richard Kalina (a cura di), Imagining the<br />

present. Context, contest, and the role of the critic. Essays by Lawrence Alloway, Routledge,<br />

New York 2006, pp. 227-229.<br />

9 «The New York School, I find, exists only in California». Barnett Newman, The New<br />

York School question. Interview with Neil A. Levine, in John P. O’Neill (a cura di), Barnett<br />

Newman. Selected writings and interviews, University of California Press, Berkeley-<br />

Los Angeles 1992, pp. 262-263 [traduzione nostra].<br />

10 Barnett Newman, in Thomas B. Hess, Barnett Newman, The Museum of Modern Art,<br />

New York 1971, p. 16 [traduzione nostra]. Suddivisione e metafora culinaria: de Kooning<br />

divide gli artisti del ragù (legati alla tradizione, al tempo, alla lentezza, alla pazienza,<br />

all’impurità e alla complessità) da quelli del dado (più vicini al principio, all’essenza, la<br />

quintessenza, alla riduzione, non solo in senso culinario). Per de Kooning il cubo trattiene<br />

l’essenza del brodo, ma non sa trattenere ciò che lo rende saporito. Si veda al riguardo<br />

Jean-Claude Lebensztejn, Brouillon kubique, “Cahiers du Musée national d’art moderne”,<br />

61, autunno 1997, pp. 4-19.<br />

11 Il lavoro di Ed Emshwiller meriterebbe forse più attenzione. Illustratore per riviste di<br />

fantascienza (“Galaxy”, “The Magazine of Fantasy & Science Fiction”), filmmaker (tra i<br />

suoi lavori Thanatopsis, 1962, Film with Three Dancers, 1970, fino ai primi esperimenti<br />

di animazione in 3-D al computer, Sunstone, 1979), ha fotografato, tra gli altri, Millhouse<br />

(Emile de Antonio, 1971), Don’t Look Back (Donn A. Pennebaker, 1967).<br />

12 Rimandiamo a Jean-Claude Lebensztejn, L’étoile, in Zigzag, Flammarion, Paris 1981,<br />

pp. 49-80, p. 54.<br />

13 Frank Stella, in Emile de Antonio, Mitch Tuchman, Painters Painting, cit., p. 142 [traduzione<br />

nostra].<br />

14 Barnett Newman, ivi, p. 159.<br />

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