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Quando l’immagine<br />
si fa storia<br />
Daniela Persico<br />
«Fotografare un uomo è roba da nulla, bisognerebbe poter fotografare<br />
un mondo» 1 dichiarava Roberto Rossellini ai “Cahiers du Cinéma”, nel<br />
momento in cui si apprestava a elaborare la sua Enciclopedia cinematografica.<br />
Il cinema dovrebbe essere un mezzo come un altro, forse più valido di<br />
altri, di descrivere la storia. Perché oltre a tutti i mezzi di trascrizione<br />
della realtà che già possediamo oggi abbiamo l’immagine, che ci presenta<br />
la gente così com’è, con quello che fa e quello che dice. I protagonisti<br />
della storia sono fotografati con la loro voce ed è importante sapere non<br />
solo quello che dicono ma come lo dicono. Ebbene, questi mezzi che il<br />
cinema possiede sono a volte serviti alla propaganda ma non sono mai<br />
stati utilizzati in maniera scientifica. 2<br />
Potremmo vedere rispecchiato il discorso rosselliniano sullo schermo<br />
cinematografico grazie al lavoro che a partire dagli anni sessanta un intellettuale<br />
americano aveva minuziosamente portato a compimento e<br />
che avrebbe segnato un nuovo modo di lavorare sull’immagine d’archivio.<br />
Emile de Antonio sfida «l’idiozia del cinéma vérité, il quale sostiene<br />
che la macchina da presa sia oggettiva», 3 impegnandosi in una<br />
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