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e naturalmente a Rosi. Gli stessi elementi o quasi su cui insisteranno a<br />

ragion veduta anche l’ampia letteratura e, senza soluzioni di continuità<br />

tra fiction e non-fiction, la vasta produzione audiovisiva scatenate dall’omicidio<br />

del presidente Kennedy. A cominciare dal libro-inchiesta di<br />

Lane, che esce nel 1966, e il non strettamente consequenziale film-inchiesta<br />

di de Antonio e Lane, che esce a stretto giro l’anno dopo. A parziale<br />

dimostrazione di quanto il fatto di sangue italiano sia o potrebbe essere<br />

stato una prova generale di quello americano, notiamo che a Portella<br />

come a Dallas è risultata sempre determinante l’individuazione di più<br />

d’una postazione di fuoco, quindi di più attentatori coordinati e concentrici,<br />

come si evince indiscutibilmente da un reperto audiovisivo più<br />

volte chiamato in causa, nei libri, nei film, nelle sedi processuali americane:<br />

il celebre filmato amatoriale di Abraham Zapruder che lascia intendere<br />

il ruolo decisivo assunto negli anni sessanta dalle immagini in<br />

movimento riprodotte. In Rush to Judgment esse vengono adoperate direttamente<br />

come fonte probatoria decisiva. Non più citate come nel libro<br />

di Lane, ma restituite alla originaria dimensione cinematografica,<br />

poiché ciò che nasce per essere proiettato su uno schermo, piccolo o<br />

grande che sia, trova immediato e più consono riscontro attraverso l’impiego<br />

di un dispositivo equivalente, sempre secondo la lezione di Rosi<br />

che in Salvatore Giuliano non cercava di riprodurre la realtà ma l’immagine<br />

già riprodotta dei cinegiornali d’epoca e delle foto scattate sul luogo<br />

in cui il bandito Giuliano, presunto autore unico e a senso unico della<br />

strage, fu trovato morto. Ovviamente tra Portella e Dallas le connessioni<br />

sono molte altre, come la sistematica eliminazione del principale e<br />

insufficiente responsabile (Giuliano come Oswald), la morte non meno<br />

misteriosa di alcuni testimoni, la reticenza degli organi istituzionali a far<br />

luce sui fatti, la tendenza degli stessi ad alterarne o inquinare le prove,<br />

l’ombra della cospirazione o del complotto che dir si voglia, la commistione<br />

tra mafia, forze dell’ordine e servizi segreti, lo scenario incombente<br />

della guerra fredda. Nessuna di queste circostanze sfugge allo storico<br />

film di de Antonio e Lane, come non sfuggiva né al Rosi di Salvatore<br />

Giuliano né, a maggior ragione, al Benvenuti di Segreti di Stato, attento<br />

a esibire i materiali d’archivio, amatoriali e istituzionali, onde prenderne<br />

le distanze ed evitare ogni equivoco realistico. Ma comuni, e qui<br />

elencate sommariamente, non sono soltanto le circostanze. Comune è il<br />

concetto inequivocabile, corrispondente a un meccanismo di interpretazione<br />

che provvede a confutare l’unicità del soggetto attivo, della postazione,<br />

del movente, della testimonianza. Con l’obiettivo di pervenire<br />

per gradi, ipotesi, indizi a una visione complessa, decostruzionista, falsi-<br />

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