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Con In the Year of the Pig volevo costruire un’arma intellettuale da usare<br />
contro la nostra guerra in Vietnam. Tutto quello che avevo visto puntava<br />
all’emozione, attraendo solo quelli che erano già stati smossi. Essere<br />
contro la guerra non è abbastanza. Perché c’eravamo? Come c’eravamo<br />
entrati? Fare un film che non fosse né una lezione né un urlo. Il film inizia<br />
con il periodo francese, i primi anni trenta, e arriva fino all’offensiva<br />
del Tet del 1968. Fonti: vecchi cinegiornali che tutti hanno dimenticato;<br />
interviste; film dalla Repubblica Democratica del Vietnam e dal Fronte<br />
Nazionale di Liberazione; ma soprattutto film dalla tv americana in cui<br />
la guerra è stata nascosta rendendola parte dei programmi informativi<br />
quotidiani, appiccicando i villaggi bruciati tra le pubblicità del deodorante<br />
e della Cadillac. Rendendola quotidiana, la tv l’ha fatta sparire.<br />
Volevo riportarla indietro, storia in film a 24 fotogrammi al secondo.<br />
(Movies and me, Nation Film Theatre Programme, maggio-luglio 1974)<br />
In the Year of the Pig era/è un’arma organizzativa, un collage storico<br />
della lotta del popolo in Vietnam. [...] Fu il primo film marxista americano<br />
a essere nominato agli Oscar. Questo non vale quanto l’anello che<br />
un ufficiale vietnamita mi diede solennemente a Lipsia, dove il film vinse<br />
un premio, un anello fatto con i rottami di un aereo abbattuto in Vietnam.<br />
[...] Non sono un liberal di sinistra e non lo è nemmeno il film.<br />
(“Jump Cut”, 19, dicembre 1978)<br />
Interesse<br />
Se difendo il mio film è perché è un buon film e se ci avessi messo dentro<br />
tutto il chiacchiericcio più scontato sarebbe stato un brutto film. Se<br />
si riempie la testa della gente di cose risapute, si ottengono film puramente<br />
didattici che nessuno, di sinistra, di destra o di centro, vuole vedere,<br />
perché sono film brutti. Se si fa un film, per prima cosa bisogna essere<br />
interessanti! Non è ancora giunta l’ora in cui si potrà essere didattici<br />
come Andy Warhol, la cui didascalicità, basata sul nulla, ha una durata<br />
lunga, come se si trattasse di qualcosa di didattico. (“Cahiers du<br />
Cinéma”, 214, luglio-agosto 1969)<br />
In the King of Prussia<br />
Il film non finge di essere oggettivo. È un film d’impegno che supporta<br />
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