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lento da spia che nella paranoica America hooveriana lo aveva trasformato<br />

in uno degli uomini più spiati del paese. Già in quel nostro primo<br />

incontro scoprii che su di lui l’Fbi aveva raccolto un dossier di diecimila<br />

pagine, e che su quella montagna di congetture, associazioni improbabili,<br />

menzogne, calunnie De intendeva costruire una sorta di autobiografia<br />

cinematografica. Come i servizi segreti statunitensi, teneva a sua<br />

volta da anni un diario personale e collettivo insieme, una sorta di contro-storia<br />

degli Stati Uniti fondata su documenti, articoli di giornale, fotografie,<br />

incontri, note di lavoro, informazioni desecretate.<br />

In quel collage che a poco a poco si andava costruendo lui non era<br />

che uno dei personaggi, di certo non il protagonista assoluto. Il vero<br />

oggetto della sua scrittura era l’America uscita dalla seconda guerra<br />

mondiale e arrivata da poco più di un anno all’edonistica presidenza di<br />

Ronald Reagan, il grande potatore: l’America della guerra del Vietnam<br />

e della segregazione razziale, della caccia alle streghe maccartista, dell’assassinio<br />

di John e Bob Kennedy, di Martin Luther King e Malcolm<br />

X, e della criminale carriera politica di Richard Nixon, ma anche l’America<br />

antagonista dei movimenti per i diritti civili, contro la guerra e il<br />

nucleare.<br />

Ci sarebbe stato da ridere, mi disse, a contrapporre le due versioni<br />

dei fatti: da un lato le sofisticate tecniche di comando delle istituzioni<br />

politiche, burocratiche, economiche, finanziarie, giudiziarie e militari<br />

del paese e le loro assai poco trasparenti imprese, dall’altro un atto di<br />

resistenza individuale, il tentativo di ristabilire un po’ di verità. Non<br />

era quello, in fondo, che la Costituzione statunitense chiedeva e garantiva<br />

ai cittadini del paese più libero del mondo? Un sincero e puntuale<br />

rispetto dei propri diritti e dei propri doveri, tra cui la critica serrata, la<br />

denuncia, il dissenso, ogni volta che la cosa pubblica si riveli privata e<br />

abusiva.<br />

Rivedendo oggi Mr. Hoover and I, l’ultimo film di Emile de Antonio, terminato<br />

qualche settimana prima della sua morte improvvisa, è come se<br />

fossi proiettata all’indietro. Immobile in un primo piano frontale o a mezza<br />

figura, nel suo studio sulla 6a strada, De parla a un ipotetico spettatore,<br />

a me, ai giovani che allora non erano ancora nati, del puzzle America, provando<br />

e riprovando a metterne insieme i pezzi, spostandoli, combinandoli,<br />

andando per successive deduzioni. Il suo è un calmo lavoro di analisi,<br />

freddo, per niente eccitato. Ciò che, nel guardarlo e ascoltarlo, emoziona e<br />

attiva pensieri e memoria è la forza dei suoi ragionamenti, la sua capacità<br />

di concatenare le cose, di rendere nitida la trama del grande romanzo sto-<br />

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