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nastro degli eventi accaduti negli ultimi quindici anni. [...] Se dovessi<br />
fare un appello, sarebbe per la creazione di un archivio elettronico. I<br />
network che usano le nostre onde libere, ognuna delle quali appartiene<br />
al popolo americano, sarebbero obbligati a sostenere e a mantenere<br />
questo archivio, in cui ogni cosa verrebbe custodita e resa disponibile a<br />
ognuno. (“Shantih”, 1.4/2.1, inverno-primavera 1972)<br />
Una cosa con cui conviviamo, in modo particolare nell’era della televisione<br />
e nell’era di Ford, è quella che potremmo chiamare la discontinuità<br />
della storia. La storia per noi è dispersa ogni giorno in piccoli<br />
frammenti in televisione e cioè senza alcuna continuità; non abbiamo alcuna<br />
prospettiva storica. [...] Noi crediamo nella storia e non vogliamo<br />
vedere gli anni sessanta scivolare via in un tombino. Una delle prime<br />
idee, una delle prime lezioni del film [Underground, NdT] era di collocare<br />
la nostra stessa storia, la storia che abbiamo attraversato, in una<br />
qualche prospettiva. (“Liberation”, luglio-agosto 1976)<br />
Penso che siano i vincitori a scrivere la storia. [...] Il soggetto di tutta la<br />
mia opera è la storia. Ciò che intendo quando dico che non credo più alla<br />
storia è che non credo alla maggior parte delle storie scritte ufficiali.<br />
Penso che ci sia qualcosa di rivelatore nell’immagine filmica del documentario,<br />
immagini che esistono, non importa quanto si venga accusati<br />
di manipolarle. Vivendo la storia che è il soggetto dei miei film, lo stesso<br />
volto umano, nei suoi atteggiamenti e nel linguaggio che il viso esprime,<br />
ha modo di dare al pubblico un sentimento, così che il pubblico possa<br />
fare la sua scelta – non importa quanto lo manipoliate. Ed è abbastanza<br />
facile manipolarlo! (Jean W. Ross, Emile de Antonio, in Contemporary<br />
authors 117, Gale Press, Detroit, 1986)<br />
Strumenti<br />
Non considero mai i film come strumenti di organizzazione politica. Li<br />
considero come film. È come essere madre, in un certo senso. Una volta<br />
che si è fatto un film, in un certo senso lo lasci andare. Devo fare qualcos’altro.<br />
Spero che la gente lo usi in un modo che sia produttivo. Ma non<br />
posso fare il successivo passo politico che alcuni registi fanno, e cioè<br />
passare tre anni a lavorare con il film. Non potrei sopportarlo. Voglio<br />
davvero fare un altro film, non passare il resto della mia vita a parlare di<br />
questo. (“Independent”, luglio-agosto 1982)<br />
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