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Lo scrittore definì i magistrati di Palermo come “i professionisti<br />

dell’antimafia” magistrati che stavano utilizzando <strong>la</strong> lotta al<strong>la</strong> mafia per fare<br />

carriera, facendo riferimento al<strong>la</strong> recente nomina di Paolo Borsellino a procuratore<br />

di Marsa<strong>la</strong>. Una bordata inaspettata, sparata da chi aveva passato <strong>la</strong> sua vita di<br />

scrittore a raccontare <strong>la</strong> mafia del<strong>la</strong> Sicilia «irredimibile».<br />

Una bordata soprattutto ingenerosa. Si saprà anni dopo che per scrivere <strong>la</strong><br />

requisitoria del Maxi-processo Falcone e Borsellino con le loro famiglie furono<br />

trasportati di peso all’Asinara per ragioni di sicurezza e che <strong>la</strong> figlia di Borsellino<br />

si ammalò di anoressia.<br />

Lo Stato al<strong>la</strong> fine presentò le spese del soggiorno ai due magistrati, che in<br />

una battuta stigmatizzarono così: “Ni vippimo vinu, ma u paammo” (Abbiamo<br />

bevuto il vino ma l’abbiamo pagato caro).<br />

Lo stesso Sciascia rimase sorpreso dalle polemiche e dall’utilizzo<br />

strumentale di quell’articolo. Una polemica feroce, una guerra senza prigionieri.<br />

La ricorderà anni dopo Paolo Borsellino in un’intervista a l’Unità in cui rivelerà<br />

alcuni retroscena di quel<strong>la</strong> storia.( 63 )<br />

Borsellino, Falcone, il pool intero non replicarono alle polemiche. “La<br />

risposta sarà il silenzio, - disse Borsellino - ho sempre ammirato Sciascia e<br />

continuerò a farlo”.<br />

In questo clima così incandescente l’11 novembre 1987 <strong>la</strong> Corte del Maxiprocesso<br />

entrò in camera di consiglio, dopo 349 udienze, 1.414 interrogatori, 635<br />

arringhe difensive, pronunciate da 200 penalisti, 665.000 fotocopie di atti<br />

processuali, con <strong>la</strong> richiesta da parte dei due pubblici ministeri Aya<strong>la</strong> e Signorino<br />

di 5.000 anni di carcere e 28 ergastoli, cifre mai viste in nessun Tribunale italiano.<br />

Dopo 35 giorni (<strong>la</strong> più lunga camera di consiglio) il 16 dicembre alle 19.30<br />

<strong>la</strong> 1° Corte d’Assise di Palermo, nel<strong>la</strong> persona del suo presidente, Alfonso<br />

Giordano, pronunciò <strong>la</strong> storica sentenza del Maxi-processo: 342 condanne di cui<br />

63 Articolo da L’Unità 13 agosto 1991 - Noi, ex professionisti dell’antimafia.<br />

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