Scuola e integrazione: i diritti del bambino adottato - Portale per l ...
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SOGNANDO SOGNANDO L'INDIA<br />
L'INDIA<br />
In casa si parlava naturalmente sempre tanto, in italiano, e la<br />
fatica, come ho detto, la faceva soprattutto mio figlio, <strong>per</strong>ché<br />
noi adulti siamo ed eravamo un po' coriacei e anche se<br />
avevamo un vocabolario tascabile non potevamo certo imparare<br />
la sua lingua, specialmente una lingua difficile come l'hindi.<br />
Così, noi, i genitori, e anche gli insegnanti parlavano italiano,<br />
magari qualche parola di inglese, che <strong>per</strong>ò Khurshid non capiva!<br />
Però Khurshid tutte le sere, nonostante non capisse ancora<br />
tutte le parole, voleva sempre una storia, ci teneva tantissimo<br />
alle storie e chiedeva a me o al papà tutte le sere di<br />
raccontargliene una.<br />
Quando ero così stanca che non sapevo neppure più cosa<br />
inventare, pensavo alle parole che lui conosceva in italiano, <strong>per</strong><br />
esempio: bicchiere, libro, forchetta, quaderno, giraffa, elefante,<br />
serpente, coccodrillo, zanzara, materasso, calorifero, cuscino,<br />
pa<strong>del</strong>la.... e inventavo una storia senza senso, infilando quelle<br />
parole una dopo l’altra, senza verbi né congiunzioni. Una storia<br />
senza senso che evocava <strong>per</strong>ò, grazie all’intonazione <strong>del</strong>la voce,<br />
tutti i sentimenti possibili: paura, attesa, gioia, amore, rabbia,<br />
sorpresa.<br />
Mio figlio ascoltava. Non era quello che io gli stavo raccontando<br />
a farlo incantare, ma la forza empatica <strong>del</strong>la storia a fargli<br />
chiedere: ancora, ancora.<br />
Tutti i genitori e gli insegnanti qui presenti sanno che quando ai<br />
bambini si racconta una storia, quei bambini, se prima erano<br />
agitati, di solito si calmano. E questo avveniva regolarmente<br />
anche a casa nostra. Poi Khurshid ha imparato molto bene<br />
l'italiano, è cresciuto, ha voluto storie compiute, ha iniziato a<br />
leggere qualche libro da solo. Quando è stato un po’ più<br />
grande, verso i nove dieci anni, ci siamo messi a fare un altro<br />
gioco insieme: alla sera, lui sceglieva il nome di due oggetti,<br />
che potevano essere "caffettiera" e "calza", cioè due cose che<br />
non avevano alcuna attinenza l'una con l'altra; e io, attraverso<br />
questi due "famosi oggetti", gli raccontavo una storia, che a<br />
volte <strong>per</strong>ò mi dava <strong>per</strong>sino la possibilità di commentare alcuni<br />
avvenimenti accaduti durante la giornata, che mi sembrava<br />
l'avessero colpito; oppure attraverso la richiesta di quegli<br />
oggetti diventava evidente il fatto che c'era qualcosa di cui mio<br />
figlio voleva parlare e me lo domandava in chiave metaforica.<br />
Quaderni[3] dei <strong>diritti</strong>