Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
© Chiara Riva
Gli inquilini di Bernard Malamud: il condominio metafora
Quasi un rudere in una zona imprecisata di New York, il condominio in cui è
ambientata la storia degli Inquilini dello scrittore statunitense di origini
ebraiche Bernard Malamud (1971) è un edificio che il suo legittimo proprietario
avrebbe già demolito da tempo se non fosse per un ultimo inquilino, lo
scrittore ebreo Harry Lesser, che è pervicacemente rinchiuso nel suo appartamento
e si rifiuta di andarsene con la motivazione che lì e soltanto lì potrà
terminare il suo romanzo.
Nel ventre svuotato dell’edificio, ormai lasciato a se stesso tranne che
per l’unico appartamento occupato, tra il riscaldamento che si inceppa, androni
sudici, l’ascensore “ormai spirato” per l’assenza di manutenzione, le scale
che puzzano perché nessuno più le pulisce, lampadine “che muoiono come
mosche”, pareti grigie rattoppate con l’intonaco e piene di buchi da cui si vede
la struttura del palazzo – e potremmo andare avanti con l’elenco –, qui, seduto
alla sua scrivania, Lesser cerca disperatamente una conclusione al romanzo
che dovrebbe riscattarlo, il romanzo della vita, il capolavoro. C’è vicino,
molto vicino, a parte i momenti di distrazione causati dalle proteste del proprietario
Levenspiel che pietisce periodicamente il suo sgombero, arrivando
anche a offrirgli una compensazione economica. Ma lui non demorde. Tutta la
sua mente, tutto il suo Io di scrittore è concentrato e assorto sull’unico Obiettivo
della Scrittura. Senonché, proprio nel condominio di cui si credeva ormai
l’unico abitante, un giorno trova la sua nemesi: scopre che un altro scrittore ha
occupato abusivamente un appartamento per poter lavorare in pace: si chiama
Willie Spearmint ed è molto diverso da lui. È uno scrittore di colore, orgogliosamente
nero e che rivendica la missione e l’identità della sua “scrittura nera”
e arrabbiata contro il sistema culturale, sociale e politico dominato dai “bianchi”.
Nel momento in cui Willie chiede a Lesser un parere sui suoi racconti, si
instaura tra i due un rapporto sempre più intenso di competizione e ammirazione
allo stesso tempo che si spinge oltre le pagine che escono dalle loro macchine
da scrivere, per coinvolgere nella vita che sta al di fuori anche la donna
di Willie, Irene, che si innamorerà di Lesser e cercherà di sottrarlo a una missione
che sta consumando la sua vita degenerando in alienazione e paranoia.
In questa riflessione sul mestiere dello scrittore, che evidentemente
ha molto di autobiografico, e sulla scrittura come espressione di identità
politica (Lesser e Willie sono entrambi, anche se diversamente, rappresentanti
di due minoranze), il condominio si rivela metafora di un mondo in rovina,
desolato, capace animarsi e intrappolare ma che al contempo, in una
sorta di cupio dissolvi, lo scrittore non riesce ad abbandonare. “È come se il
palazzo fosse diventato più grande, avesse fatto lievitare un paio di inutili
piani, avesse creato altre stanze vuote. Il vento, una musica marina triste e
soprannaturale, abita in quelle stanze, muovendosi tra le pareti come tra gli
alberi di un bosco. […] Ha paura ad uscire dalla sua stanza, anche se ne ha
la nausea, perché teme di non poterci ritornare.”
Il condominio di J.G. Ballard: il condominio distopico
Il condominio (1975), interamente ambientato in un grattacielo, è un’opera
distopica e disturbante nel suo prefigurare la mutazione di una società as-
101/PAGINE