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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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© Chiara Riva

Gli inquilini di Bernard Malamud: il condominio metafora

Quasi un rudere in una zona imprecisata di New York, il condominio in cui è

ambientata la storia degli Inquilini dello scrittore statunitense di origini

ebraiche Bernard Malamud (1971) è un edificio che il suo legittimo proprietario

avrebbe già demolito da tempo se non fosse per un ultimo inquilino, lo

scrittore ebreo Harry Lesser, che è pervicacemente rinchiuso nel suo appartamento

e si rifiuta di andarsene con la motivazione che lì e soltanto lì potrà

terminare il suo romanzo.

Nel ventre svuotato dell’edificio, ormai lasciato a se stesso tranne che

per l’unico appartamento occupato, tra il riscaldamento che si inceppa, androni

sudici, l’ascensore “ormai spirato” per l’assenza di manutenzione, le scale

che puzzano perché nessuno più le pulisce, lampadine “che muoiono come

mosche”, pareti grigie rattoppate con l’intonaco e piene di buchi da cui si vede

la struttura del palazzo – e potremmo andare avanti con l’elenco –, qui, seduto

alla sua scrivania, Lesser cerca disperatamente una conclusione al romanzo

che dovrebbe riscattarlo, il romanzo della vita, il capolavoro. C’è vicino,

molto vicino, a parte i momenti di distrazione causati dalle proteste del proprietario

Levenspiel che pietisce periodicamente il suo sgombero, arrivando

anche a offrirgli una compensazione economica. Ma lui non demorde. Tutta la

sua mente, tutto il suo Io di scrittore è concentrato e assorto sull’unico Obiettivo

della Scrittura. Senonché, proprio nel condominio di cui si credeva ormai

l’unico abitante, un giorno trova la sua nemesi: scopre che un altro scrittore ha

occupato abusivamente un appartamento per poter lavorare in pace: si chiama

Willie Spearmint ed è molto diverso da lui. È uno scrittore di colore, orgogliosamente

nero e che rivendica la missione e l’identità della sua “scrittura nera”

e arrabbiata contro il sistema culturale, sociale e politico dominato dai “bianchi”.

Nel momento in cui Willie chiede a Lesser un parere sui suoi racconti, si

instaura tra i due un rapporto sempre più intenso di competizione e ammirazione

allo stesso tempo che si spinge oltre le pagine che escono dalle loro macchine

da scrivere, per coinvolgere nella vita che sta al di fuori anche la donna

di Willie, Irene, che si innamorerà di Lesser e cercherà di sottrarlo a una missione

che sta consumando la sua vita degenerando in alienazione e paranoia.

In questa riflessione sul mestiere dello scrittore, che evidentemente

ha molto di autobiografico, e sulla scrittura come espressione di identità

politica (Lesser e Willie sono entrambi, anche se diversamente, rappresentanti

di due minoranze), il condominio si rivela metafora di un mondo in rovina,

desolato, capace animarsi e intrappolare ma che al contempo, in una

sorta di cupio dissolvi, lo scrittore non riesce ad abbandonare. “È come se il

palazzo fosse diventato più grande, avesse fatto lievitare un paio di inutili

piani, avesse creato altre stanze vuote. Il vento, una musica marina triste e

soprannaturale, abita in quelle stanze, muovendosi tra le pareti come tra gli

alberi di un bosco. […] Ha paura ad uscire dalla sua stanza, anche se ne ha

la nausea, perché teme di non poterci ritornare.”

Il condominio di J.G. Ballard: il condominio distopico

Il condominio (1975), interamente ambientato in un grattacielo, è un’opera

distopica e disturbante nel suo prefigurare la mutazione di una società as-

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