22.12.2023 Views

STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

dio” dice ancora adesso), per documentare l’evoluzione della società e del

paesaggio italiano dal dopoguerra ad oggi, con quel suo modo di scattare

unico, che non posa lo sguardo su un singolo soggetto ma è capace di ritrarre

molteplici protagonisti, come a voler veramente ritrarre il momento e non

il singolo volto.

Anche le immagini prodotte per l’industria e per l’architettura (un

esempio tra tutti i cantieri delle costruzioni di Renzo Piano) ritraevano, più

che l’oggetto o gli edifici, l’uomo al lavoro, il processo costruttivo.

“Quel Berengo Gardin, che fa foto nere e fotografa la gente!” lo apostrofò

Cavalli, quando Mario Giacomelli lo volle nel gruppo fotografico La

Bussola di Milano.

Quel Berengo Gardin che è diventato il più grande del dopoguerra, che

è riuscito a non farsi condizionare dalle mode, ed è rimasto fedele alla limpidezza

dello sguardo, utilizzando la sua Leica come uno scrittore avrebbe

utilizzato una penna, per raccontare il mondo, coi suoi marciapiedi, le stazioni

coi treni in partenza, i baci rubati, come quello dello scatto famosissimo

sotto i portici Veneziani, che documenta un’Italia dove – era il 1950 – era

proibito baciarsi per strada.

Ad oggi Berengo Gardin ha pubblicato un corpus di circa duecentosettanta

libri.

Il primo, quello dedicato alla sua Venezia, Venise des Saisons, venne

rifiutato da otto editori italiani per la totale mancanza di appeal turistico. E

mentre stava per rinunciare, Bruno Zevi gli organizzò una mostra all’istituto

di architettura di Londra, dove per caso passò un editore Svizzero della

Guilde du Livre di Losanna (all’epoca la più importante casa editrice europea

per la fotografia) che, innamorato degli scatti, in meno di un mese si occupò

di pubblicare il libro.

Alla sua Venezia fece ritorno varie volte, per documentare l’evoluzione

della città, e denunciare l’impatto delle grandi navi sul fragile equilibrio

della laguna, su invito di un amico che gli raccontò che nella sua residenza

all’ultimo piano di Palazzo Erizzo Bolani sul Canal Grande aveva abitato

nella prima metà del Cinquecento Pietro Aretino.

E alla finestra dell’Aretino si è affacciato per catturare, con il suo

sguardo unico, lo stesso scenario raccontato dal poeta.

“Sono solo un testimone di quello che vedo. Cerco di essere il più

obiettivo possibile, fotografando la realtà. Per me l’importanza della fotografia

è la documentazione, la testimonianza, come eravamo in quel momento.”

La vita quotidiana, il traffico dovuto al commercio, i trasporti e le orde

di turisti... Cosa era rimasto immutato? E cosa era cambiato rispetto al racconto

dell’Aretino?

Probabilmente nulla, tutto diverso ma tutto uguale, come in un gioco

di specchi la città si mostra sempre uguale, nonostante i cinquecento anni

di distanza tra scrittore e fotografo, unica nella sua magia, e a ben guardare

le immagini di quella stanza, con il ponte di Rialto fuori dalle finestre spalancate,

sembra quasi di udire il suono della risata dell’Aretino mentre osserva

rapito “la più gioconda veduta del mondo.”

63/OMBRE

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!