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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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Photo by Pixabay

topologico. E tra le sue pareti a volte si celano misteri, ombre, ambiguità,

sentimenti repressi o un oscuro passato rimosso.

Un fine romanziere come Henry James, tra i precursori della narrazione

psicologica, ambienta il suo romanzo breve Il giro di vite (1898) in una

grande dimora di campagna; il luogo non è descritto con la precisione di una

cartolina ma piuttosto come uno schizzo evanescente, come evanescenti

sono le misteriose presenze di due servitori morti che appaiono alla protagonista,

una giovane assunta come istitutrice di due piccoli orfani da un

misterioso gentiluomo. La storia viaggia sul doppio binario del rapporto tra

realtà e paranormale, nella psiche e nei turbamenti di una donna. Come

l’ambiguità è la sua cifra stilistica, così essa è resa nelle sequenze descrittive

degli ambienti interni pieni di scale e torri isolate, finestre aperte e

lunghi corridoi apparentemente vuoti, specchi che riflettono – o forse no – in

una dialettica tra interni ed esterni che ha molto dell’illusorio.

Tutto un corredo già utilizzato, in modo ancora più enfatico, dal maestro

del genere gotico, Edgar Allan Poe: pensiamo al racconto La caduta della casa

degli Usher (1839), in cui tra la casa e il suo proprietario c’è un evidente rapporto

di identificazione. L’antica dimora ha finestre “come vuote orbite”, fredde

mura, gela il cuore e comunica oppressione e malessere; la sua sola apparizione

in apertura della narrazione prelude alla misteriosa e acuta malattia

da cui è affetto Roderick Usher, compagno d’infanzia della voce narrante e

ultimo esponente della famiglia a cui, da generazioni, appartiene la casa.

Un salto avanti nel tempo, e troviamo L’incubo di Hill House di Shirley

Jackson (1959), un’altra casa infestata – sulla scia di Poe erano stati gettati

i semi per il genere gotico-psicologico – che diventerà un topos letterario

nella narrativa horror. Di Hill House ci viene detto in incipit del romanzo che

“sana non era”, che in essa “il silenzio si stendeva uniforme contro il legno

e la pietra” e “qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva da sola”.

Dimora “non adatta agli uomini, né all’amore, né alla speranza”, si lega a

doppio filo al destino di una delle protagoniste, l’infelice Eleanor.

In altri romanzi, di genere diverso, altre case ancora, spesso ispirate a

location reali, sono diventate talmente iconiche e rappresentative di un’epoca

e di un personaggio da essere assurte a vere e proprie mete di turismo letterario.

Si scrive West Egg, si legge Il Grande Gatsby: Francis Scott Fitzgerald

si ispirò alla Goald Cost di Long Island per ambientare in questo quartiere

96/PAGINE

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