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Di nuovo mentre attraversavo l'imponente atrio - guardando
i leoni alati a metà dei cinquanta metri della Fox
Tower svettante sopra l'incrocio tra la Broxton e la
Weyburn Avenue, che di notte, illuminata com'era e con
in cima una sfolgorante insegna bianca e blu, sembrava
un faro - mi ricordai che quella era la prima volta che
andavo a Westwood da solo e mi sentii davvero adulto
ed ebbi un brivido di trepidazione all'idea di quel che
mi riservava il futuro. Comprai una scatola di Junior
Mints e dal luminoso atrio art déco mi spostai nell'oscurità
della gigantesca sala.
Il cinema era meno affollato di quanto avessi temuto,
ma erano solo le nove e quaranta ed era destinato a
riempirsi, pensai sedendomi e osservando l'imponente
sipario drappeggiato davanti allo schermo da 70 millimetri.
Mentre scrivo, non riesco a credere che fui lasciato
lí seduto per conto mio per venti minuti, oziosamente,
a pensare alle mie cose, a Thom e Susan, ad
aspettare senza un telefono da guardare, ad aspettare
senza che nulla mi distraesse. Invece, mi godetti la sala
- la mia preferita a Westwood e la più grande, con oltre
millequattrocento posti; era un vasto mondo a parte in
cui mi rifugiavo ed era uno dei pochi posti in cui sapevo
di potermi salvare - perchè all'epoca i film erano una
religione, potevano cambiarti, alterare la tua percezione,
potevi protenderti verso lo schermo e condividere
un'istante di trascendenza, in quella chiesa tutte le
delusioni e le paure venivano spazzate via per qualche
ora: i film avevano su di me l'effetto di una droga.
Bret Easton Ellis, Le schegge