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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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Di nuovo mentre attraversavo l'imponente atrio - guardando

i leoni alati a metà dei cinquanta metri della Fox

Tower svettante sopra l'incrocio tra la Broxton e la

Weyburn Avenue, che di notte, illuminata com'era e con

in cima una sfolgorante insegna bianca e blu, sembrava

un faro - mi ricordai che quella era la prima volta che

andavo a Westwood da solo e mi sentii davvero adulto

ed ebbi un brivido di trepidazione all'idea di quel che

mi riservava il futuro. Comprai una scatola di Junior

Mints e dal luminoso atrio art déco mi spostai nell'oscurità

della gigantesca sala.

Il cinema era meno affollato di quanto avessi temuto,

ma erano solo le nove e quaranta ed era destinato a

riempirsi, pensai sedendomi e osservando l'imponente

sipario drappeggiato davanti allo schermo da 70 millimetri.

Mentre scrivo, non riesco a credere che fui lasciato

lí seduto per conto mio per venti minuti, oziosamente,

a pensare alle mie cose, a Thom e Susan, ad

aspettare senza un telefono da guardare, ad aspettare

senza che nulla mi distraesse. Invece, mi godetti la sala

- la mia preferita a Westwood e la più grande, con oltre

millequattrocento posti; era un vasto mondo a parte in

cui mi rifugiavo ed era uno dei pochi posti in cui sapevo

di potermi salvare - perchè all'epoca i film erano una

religione, potevano cambiarti, alterare la tua percezione,

potevi protenderti verso lo schermo e condividere

un'istante di trascendenza, in quella chiesa tutte le

delusioni e le paure venivano spazzate via per qualche

ora: i film avevano su di me l'effetto di una droga.

Bret Easton Ellis, Le schegge

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