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Grotta Ricotti, Camerano
sarebbe stata in ombra. La stessa maschera indossata dagli attori era in
fondo un amplificatore, un megafono dalla forma a imbuto, grazie al quale la
voce veniva proiettata più efficacemente. Nel Rinascimento poi gli scenografi
(tra cui Leonardo da Vinci) costruivano già elaborati sistemi meccanici
per stupire gli spettatori con sbalorditivi artifici. Più recentemente, nel XIX
secolo, venivano sperimentati effetti scenici particolarmente complessi, capaci
di generare illusioni ottiche impressionanti, ad esempio far apparire
fantasmi, figure ectoplasmatiche in scena attraverso sistemi di proiezioni
molto simili a quelli che oggi sono gli ologrammi. Insomma, il teatro si è
sempre servito delle tecnologie per aumentare la sua efficacia drammatica
e coinvolgere gli spettatori in qualcosa di indimenticabile.
È curioso, perciò, che permanga ancora oggi l’atteggiamento sospettoso
di un certo pubblico nei confronti dell’utilizzo a teatro di alcuni mezzi
come, ad esempio, quelli che permettono l’amplificazione della voce. La verità
è che l’immersione tecnologica è avvenuta nel teatro più nel campo del
visuale che dell’uditivo. Ovvero, nessuno si stupisce, né sente come qualcosa
di particolarmente strano l’uso, per dire, di elaborati criteri di illuminazione
della scena (proiettori, sagomatori, laser, led, ma anche, più recentemente,
videoproiezioni, gigantesche, immagini ad alta definizione) che
ovviamente erano sconosciuti a teatro solo un centinaio di anni fa, ma si fa
fatica a concepire che gli attori, grazie ai sistemi audio microfonici, possano
esprimere le proprie intenzioni in maniera più sottile, sfumata ed intima,
senza preoccuparsi di generare la pressione sonora necessaria all’ascolto
in grandi spazi.
111/PALCHI