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unicum nel panorama letterario contemporaneo. Il condominio di Parigi in
rue Simon-Crubellier è insieme ambientazione e protagonista di questo romanzo
dalla trama complessissima praticamente impossibile da riassumere.
Innumerevoli storie vi si svolgono al suo interno, relative ai suoi abitanti ma
anche, per esempio, agli oggetti contenuti nelle sue stanze, ai personaggi
dei quadri appesi alle pareti, con rimandi dall’una all’altra: il loro numero
elevatissimo, il gusto per l’accumulo di particolari e descrizioni, lo stile enciclopedico
da “opera mondo” danno l’impressione che questo palazzo partorisca
da ogni stanza un magma inarrestabile di storie, ed è difficilissimo
capire che in realtà sotto di esso si cela una struttura molto precisa, ispirata
alle regole dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), un gruppo
intellettuale di letterati e matematici (di cui faceva parte anche Italo Calvino,
grande estimatore di Perec), fondato a Parigi nel 1960 e volto a cercare
nuovi schemi per la costruzione di storie, che non fossero quelli tradizionali.
Lo scrittore, cioè, nella stesura delle proprie opere doveva rispettare dei
contraintes, cioè dei vincoli, dei paletti, che potevano essere matematici
come linguistici.
Nel caso di La vita istruzioni per l’uso è la composizione del condominio
stesso a rappresentare lo schema nascosto del romanzo: si ispira al
modello matematico del biquadrato greco-latino, costituito da 100 stanze,
disposte su 10 piani, in cui ogni capitolo è incentrato su una stanza. Tra gli
altri “paletti” vi sono degli elenchi (21 coppie di liste di 10 elementi ciascuna,
dalla mobilia alle citazioni di scrittori), sui quali Perec imbastisce la
narrazione. E in questo romanzo dall’ipertrofia descrittiva e dalla bulimia
narrativa è difficile toccare il fondo, l’assunto di base. Ma c’è, tra queste
storie, una che rappresenta un po’ la chiave per capire il tutto, ovvero quella
che riguarda la vita del ricchissimo Bartlebooth, che organizza tutta la sua
esistenza intorno a un unico progetto così riassumibile: l’apprendimento della
tecnica pittorica dell’acquerello, quindi la pittura dal vivo di soggetti di
marine in giro per il mondo, a seguire la loro trasformazione in puzzle,
che poi, una volta ricomposti, sarebbero stati distrutti, ritornando con un
procedimento particolare a ottenere il bianco foglio di partenza. Ironia della
sorte, questo piano perfettamente congegnato fallisce dal momento che,
poco prima di morire, Barthlebooth non riesce a ricomporre l’ultimo pezzo
dell’ultimo puzzle a causa di un errore per cui invece di avere forma di X ha
la forma di una W.
E così, il suo obiettivo di “portare fino in fondo un programma, intero,
intatto, irriducibile”, di mettere ordine nel caos dell’esistenza si infrange “di
fronte all’inestricabile incoerenza del mondo”. Parafrasando si potrebbe aggiungere,
di fronte a una vita per la quale non esistono istruzioni per l’uso.
Le vite che si intrecciano nei singoli appartamenti, le storie che ogni
stanza racconta attraverso i suoi oggetti, la sua mobilia, i suoi quadri e ninnoli,
sono anch’essi tasselli di un puzzle che alla fine sarà impossibile da
ricomporre. Come nell’arte del puzzle di cui l’autore parla nel preambolo al
romanzo, anche Perec ha cercato meticolosamente con la scrittura di “trattenere
qualcosa, far sopravvivere qualcosa”, nella consapevolezza della
problematicità dello spazio, della sua inafferrabilità.
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