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Nicola Guida
Quando la vita ti porta dall’essere letteralmente un
figlio di puttana al venir definito dall’Ariosto “il
flagello dei principi”, il più sferzante e apprezzato
letterato della tua epoca, quando la maggior parte
del tempo l’hai trascorsa tra papi e re, qual è il
posto giusto dove fermarsi a trascorrere con tranquillità
gli anni rimasti?
L’isola tropicale con il tramonto che si scioglie
nel mare come il ghiaccio nel mojito, mentre
lo sciabordio delle onde a riva ti accarezza i piedi,
non era ancora di moda nell’Italia del Cinquecento: l’America del Sud era
appena stata scoperta e anche il rum non era poi così diffuso.
Venezia, invece, già faceva tendenza: opulenta, colta, adagiata mollemente
nella sua laguna a cavallo tra oriente e occidente, la meta perfetta
per un animo inquieto come quello di Pietro Aretino, che già nel 1527 la
definiva anticortigiana e sede di ogni vizio possibile, quindi degno approdo
del suo peregrinare.
E la casa in cui si stabilì con la sua corte di donne e amici sta sul Canal
Grande, fra Rio di San Grisostomo e Rio dei Santi Apostoli: dalle finestre si
vede il ponte di Rialto, non quello bianco cangiante che vediamo oggi, costruito
tra il 1588 e il 1592, bensì quello in legno che possiamo osservare
nel celebre dipinto di Vittore Carpaccio che si trova alle Gallerie dell’Accademia.
Pietro Aretino quando si affaccia alla finestra scorge “mille persone e
altrettante gondole su l’hora dei mercati. Le piazze del mio occhio dritto sono
le beccarie e la pescaria, e il campo del mancino, il ponte e il fondaco dei
Tedeschi, a l’incontro di tutti e due ho il Rialto, calcato d’huomini da faccende.
Sonvi le vigne ne i burchi, le caccie e l’uccellagioni nelle botteghe, gli
orti nello spazzo, né mi curo di veder rivi, che irrighino prati, quando a l’alba
miro l’acqua coperta d’ogni ragion di cosa, che si trova nelle sue stagioni.”
In questa casa bella e luminosa, da veneziano d’adozione, l’Aretino
trascorse gli anni che lo separavano da quell’ultima, grassa risata per una
barzelletta sconcia su sua sorella, risata che gli costò la vita.
Uno sguardo a quella medesima finestra, qualche secolo dopo, è un
altro veneziano d’adozione a darlo.
61/OMBRE