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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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Nicola Guida

Quando la vita ti porta dall’essere letteralmente un

figlio di puttana al venir definito dall’Ariosto “il

flagello dei principi”, il più sferzante e apprezzato

letterato della tua epoca, quando la maggior parte

del tempo l’hai trascorsa tra papi e re, qual è il

posto giusto dove fermarsi a trascorrere con tranquillità

gli anni rimasti?

L’isola tropicale con il tramonto che si scioglie

nel mare come il ghiaccio nel mojito, mentre

lo sciabordio delle onde a riva ti accarezza i piedi,

non era ancora di moda nell’Italia del Cinquecento: l’America del Sud era

appena stata scoperta e anche il rum non era poi così diffuso.

Venezia, invece, già faceva tendenza: opulenta, colta, adagiata mollemente

nella sua laguna a cavallo tra oriente e occidente, la meta perfetta

per un animo inquieto come quello di Pietro Aretino, che già nel 1527 la

definiva anticortigiana e sede di ogni vizio possibile, quindi degno approdo

del suo peregrinare.

E la casa in cui si stabilì con la sua corte di donne e amici sta sul Canal

Grande, fra Rio di San Grisostomo e Rio dei Santi Apostoli: dalle finestre si

vede il ponte di Rialto, non quello bianco cangiante che vediamo oggi, costruito

tra il 1588 e il 1592, bensì quello in legno che possiamo osservare

nel celebre dipinto di Vittore Carpaccio che si trova alle Gallerie dell’Accademia.

Pietro Aretino quando si affaccia alla finestra scorge “mille persone e

altrettante gondole su l’hora dei mercati. Le piazze del mio occhio dritto sono

le beccarie e la pescaria, e il campo del mancino, il ponte e il fondaco dei

Tedeschi, a l’incontro di tutti e due ho il Rialto, calcato d’huomini da faccende.

Sonvi le vigne ne i burchi, le caccie e l’uccellagioni nelle botteghe, gli

orti nello spazzo, né mi curo di veder rivi, che irrighino prati, quando a l’alba

miro l’acqua coperta d’ogni ragion di cosa, che si trova nelle sue stagioni.”

In questa casa bella e luminosa, da veneziano d’adozione, l’Aretino

trascorse gli anni che lo separavano da quell’ultima, grassa risata per una

barzelletta sconcia su sua sorella, risata che gli costò la vita.

Uno sguardo a quella medesima finestra, qualche secolo dopo, è un

altro veneziano d’adozione a darlo.

61/OMBRE

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