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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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Accademia 56, Ancona

© Francesco Paci

inseriti in maniera dinamica nelle tre dimensioni dando allo spettatore un’esperienza

completamente immersiva.

Una decisione del genere, è ovvio, ha impattato fortemente sulla costruzione

dello spettacolo. Sul modo di lavorare degli attori, sul loro stile

recitativo. Le loro stesse voci dovevano infatti transitare all’interno del sistema

audio in modo da poter interagire con gli ambienti e con le musiche.

Anche in una collocazione che vede una distanza molto ridotta dagli spettatori,

gli attori dovevano perciò indossare dei microfoni ad archetto e recitare

in maniera estremamente intima. Sottile. La loro voce non sarebbe giunta

agli spettatori direttamente ma collocata nella posizione spaziale giusta

dal sistema audio tridimensionale. Ancora più importante è stata, a conti

fatti, la riconfigurazione del rapporto tra gli spettatori e l’esperienza teatrale

che è diventata meno “comunitaria”, più introspettiva e, soprattutto, la

rielaborazione del rapporto tra attore e spettatore.

Non ci si può rendere conto di quanto profonda sia questa ristrutturazione

fino al momento della prima rappresentazione.

Il pubblico in cuffia non dava più agli attori gli stessi feedback di sempre.

Appariva come precipitato, immerso in un mondo autocentrato. Come se

la cosa - che stava avvenendo davanti alle persone - fosse in realtà in altro

luogo, direttamente nel proprio cervello. L’obiettivo di iniettare direttamente

nella mente dello spettatore il mondo fantasmatico dei protagonisti era

stato centrato: ricreare, come faceva Prospero ne “La Tempesta”, un ambiente

illusorio ma presente, vivo e inquietante, con effetti a volte inaspettati.

Fatica ulteriore per gli attori è stata così quella di adattarsi a questo

nuovo livello di energia. Che non è diretta, passa per altre vie. Assuefarsi a

questa speciale solitudine in pubblico. Per ragioni tecniche, infatti, gli attori

non potevano sentire quello che sentiva il pubblico (una iniziale prova con

l’uso di cuffie in-ear, oltre a rivelarsi un’ulteriore complicazione, non era

risultata affatto funzionale alla recitazione), stavano letteralmente in un

altro luogo: avevano davanti una massa di persone che però era come se non

fosse lì.

Dopo la prima rappresentazione si è scelto di far recitare gli attori

come se fossero assolutamente soli. Lo spettacolo è così diventato l’incontro

tra due solitudini. La solitudine degli attori in scena e quella di ogni singolo

spettatore alle prese con un mondo interno che non può condividere con

nessuno. Con cui deve fare i conti. E per chi costruisce lo spettacolo è diventato

un ambito di ricerca che ha prodotto risultati insperati dimostrando come

la tecnologia, quando viene usata non soltanto nel suo aspetto puramente

spettacolare ma come elemento essenziale di un linguaggio poetico, possa

portare a profonde rielaborazioni e segnare un percorso dal quale non si

torna indietro.

113/PALCHI

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