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STANZE_12_23_INTERNI

Un trimestrale di ricerca ed approfondimento culturale

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L’esperienza d’internamento in un campo di prigionia giapponese insieme

ai genitori durante la Seconda guerra mondiale, che lo portò a scrivere

L’impero del sole da cui l’omonimo film di Steven Spielberg ha sicuramente

influito sull’atmosfera claustrofobica del grattacielo entro cui si svolge

tutta l’azione del Condominio. L’edificio protagonista della storia – e si può

proprio definirlo così – è parte di un nuovissimo complesso residenziale di

lusso, poco distante dalla City di Londra, costruito per soddisfare tutte le

esigenze dei suoi benestanti inquilini, con supermercato, palestra, piscina e

asilo interni. A tutti gli effetti una sorta di minicittà autosufficiente.

Improvvisamente, e senza alcuna motivazione specifica, si verifica nel

grattacielo una serie di incidenti dapprima di scarso rilievo (bottiglie che

vengono lanciate dalle finestre), poi sempre più frequenti, invasivi (blackout)

e violenti (il ritrovamento del cadavere di un cane nell’acqua della piscina).

Così, in parallelo al loro intensificarsi, esplodono tra gli abitanti rivalità e

tensioni sommerse, mentre il grattacielo sembra sempre più animato da una

volontà propria e progettato apposta per liberare, tra feste notturne a base

di alcool e droghe, le loro pulsioni sessuali, gli istinti più violenti, razzisti e

autodistruttivi. Gli inquilini si dividono in organizzazioni di tipo tribale che

rispettano una rigida suddivisione gerarchica, replica deteriorata delle tre

classi sociali: dai piani più bassi a quelli più alti si assiste a una lotta con

tanto di barricate tra un proletariato di tecnici cinematografici, hostess, ecc.,

una borghesia di liberi professionisti e la classe dell’élite di imprenditori,

attrici e accademici trincerata negli ultimi irraggiungibili piani fino alla terrazza

panoramica.

Lo scrittore segue le vicende di tre personaggi rappresentativi di ciascuna

classe, il videomaker Richard Wilder, il medico Laing, e infine l’archistar

del grattacielo Anthony Royal: ognuno di loro vivrà una parabola diversa.

Wilder persegue con bestiale determinazione l’obiettivo della scalata al

grattacielo e risalendolo fino agli ambiti piani alti dove la violenza distruttrice

è massima, come in un inferno dantesco a rovescio, la sua personalità

diventa sempre più primitiva così come la sua comunicazione regredisce

dalla parola a suoni disarticolati e gutturali. Barricato all’ultimo piano l’architetto

Royal aspetta la sua inevitabile fine, orgoglioso e quasi ascetico

nella sua sahariana bianca e nella delirante convinzione di essere il creatore

nonché il re del gigantesco edificio. L’unico a sopravvivere (non si sa per

quanto) e ad adattarsi alla nuova vita nel grattacielo, i cui interni sono trasformati

nel finale in rovine post-apocalittiche e in cui si vive ai minimi termini

soddisfacendo solo i più elementari bisogni corporei, sarà il dottor Laing,

espressione della classe media. Sa che ormai non potrà più lasciare questo

luogo perché non può più farne a meno. Con l’asservimento dei suoi ultimi

abitanti al nuovo stile di vita imposto dal grattacielo, si è compiuta un’aberrante

rivoluzione: il mostruoso edificio ha ormai spazzato via il mondo circostante,

e Laing osserva con compiacimento l’inizio di un blackout nel palazzo

di fronte, preludio al diffondersi di un “nuovo modello di mondo in cui

sarebbero vissuti in futuro. […] Uno scenario post-tecnologico, dove ogni

cosa era in abbandono. O, più ambiguamente, rivista secondo modalità inaspettate

e più significative”.

103/PAGINE

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