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A-Colophon+ indice - Centro di Documentazione Del Boca – Fekini

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Il gioco degli specchi deformanti: stereotipi e autostereotipi tra Italia e Germania<br />

nuovi, ma perché meno idonei <strong>di</strong> questi ultimi al perseguimento degli stessi<br />

fini. In questo senso anche gli stereotipi possono quin<strong>di</strong> svolgere un ruolo<br />

come chiave <strong>di</strong> accesso graduale a realtà, in<strong>di</strong>viduali e sociali, che per<br />

definizione sono estremamente complesse. Purché, sia chiaro, si riconosca<br />

loro una funzione meramente strumentale.<br />

È questo in fondo l’approccio scelto da un certo numero <strong>di</strong> opere,<br />

apparentemente «leggere», che muovono dagli stereotipi, li mettono in<br />

<strong>di</strong>scussione, li verificano, li combattono, ne constatano i limiti ma in sostanza<br />

se ne servono appunto per decifrare realtà altrimenti incomprensibili. Nella<br />

sua versione più recente, il genere muove probabilmente dal libro <strong>di</strong> George<br />

Mikes, un ungherese che a metà degli anni quaranta descrive in modo<br />

graffiante le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> integrazione <strong>di</strong> uno straniero in Gran Bretagna 8 , e<br />

arriva fino alle fortunatissime analisi <strong>di</strong> Severgnini sugli inglesi 9 e <strong>di</strong> Giar<strong>di</strong>na<br />

sui tedeschi 10 . Né mancano esempi <strong>di</strong> attenzione agli autostereotipi, quelli<br />

che un popolo (o un gruppo sociale) applica a se stesso, ad esempio nel<br />

libro-pamphlet del tedesco Klaus Stille sui suoi compatrioti (anche se in<br />

filigrana gli italiani vi fanno capolino come termine <strong>di</strong> riferimento:<br />

conseguenza forse della moglie italiana dell’autore; o forse perché, come si<br />

sostiene nei paragrafi che seguono, l’intensità delle correnti sotterranee che<br />

legano i due popoli forse non hanno l’eguale in Europa) 11 .<br />

L’analisi degli stereotipi richiede quin<strong>di</strong> innanzitutto un approccio <strong>di</strong><br />

tipo fattuale. È quanto cerchiamo <strong>di</strong> fare in questo contributo, de<strong>di</strong>cato ad<br />

un caso <strong>di</strong> specie particolarmente rilevante e che abbiamo già implicitamente<br />

focalizzato nelle righe che precedono: le percezioni reciproche tra tedeschi<br />

ed italiani. Su queste ultime molto è stato scritto, e proprio per sottolineare<br />

ora la stabilità, ora la flessibilità degli stereotipi. Sul primo versante, una<br />

menzione particolare merita il contributo <strong>di</strong> Elisabetta Mazza Moneta, che<br />

elabora organicamente un abbondante materiale empirico-quantitativo che<br />

<strong>di</strong>mostra come, all’inizio del terzo millennio, «tedeschi ed italiani <strong>di</strong>spongano<br />

<strong>di</strong> immagini, sia su se stessi che gli uni degli altri, che sono al contempo<br />

molto precise e stabili nel tempo» 12 . Sul secondo versante, Gherardo Ugolini<br />

propone una affascinante carrellata attraverso le non molte pagine de<strong>di</strong>cate<br />

alla Germania dalla letteratura italiana degli ultimi sessanta anni 13 .<br />

Muovendo dal neorealismo <strong>di</strong> Elio Vittorini, del primo Italo Calvino, <strong>di</strong><br />

Renata Viganò, per giungere ai giovani scrittori degli anni novanta, Ugolini<br />

<strong>di</strong>mostra come lo stereotipo del tedesco barbaro e nemico, proprio della<br />

letteratura «resistenziale» dell’imme<strong>di</strong>ato secondo dopoguerra, si evolva via<br />

via in un’immagine più complessa, dapprima <strong>di</strong> un paese privo <strong>di</strong> unità<br />

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