A-Colophon+ indice - Centro di Documentazione Del Boca – Fekini
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queste brigate: 1 a Brigata proletaria,<br />
<strong>di</strong>venuta poi il Battaglione triestino,<br />
una brigata composta<br />
esclusivamente da operai <strong>di</strong><br />
Monfalcone.<br />
Alla fine del 1948 la maggior parte<br />
<strong>di</strong> loro rientra in Italia, delusa e<br />
amareggiata. Quello che li aspetta è<br />
l’emarginazione, la <strong>di</strong>scrimi-nazione,<br />
il silenzio. Altri devono aspettare<br />
qualche tempo prima <strong>di</strong> rientrare:<br />
l’appoggio alle tesi del Cominform,<br />
con cui Stalin scomunica Tito e la<br />
<strong>di</strong>rigenza comunista jugoslava, costa<br />
loro l’arresto e la detenzione nei campi<br />
<strong>di</strong> concentramento.<br />
Il passaggio ad Est nel 1947 è<br />
facile, è terra in cui i confini non<br />
hanno mai avuto grande valore, per<br />
lo meno tra la gente comune. I<br />
monfalconesi, come molti loro vicini,<br />
non si sentono italiani fino in fondo,<br />
l’Italia è identificata con il fascismo,<br />
con la <strong>di</strong>ttatura, con la violenza e la<br />
miseria. È <strong>di</strong>ffuso un internazionalismo<br />
che affonda le ra<strong>di</strong>ci<br />
nell’impero austroungarico,<br />
multietnico e multilingue, ed è poi<br />
cresciuto con Marx e il comunismo.<br />
«Un socialismo austromarxista»<br />
sovranazionale. Non a caso i «veci»<br />
intervistati dall’autore raccontano che<br />
«con l’Austria-Ungheria ogni <strong>di</strong>eci<br />
funzionari c’erano 7 maestri e 3<br />
gendarmi. Con l’Italia del fascio 3<br />
maestri e 7 gendarmi».<br />
Andrea Berrini, racconta questa<br />
storia utilizzando la memoria dei<br />
Le schede<br />
monfalconesi che vi parteciparono,<br />
<strong>di</strong> chi non vi partecipò <strong>di</strong>rettamente<br />
ma che potè assistere alla vicenda,<br />
<strong>di</strong> chi non ha assistito ma l’ha<br />
sentito raccontare dai genitori, dagli<br />
zii, dai nonni. Una storia tutta sul<br />
filo <strong>di</strong> quella che Berrini non esita<br />
a definire «memoria grande».<br />
Incontra i protagonisti, i «veci», li<br />
fa parlare, talvolta in <strong>di</strong>aletto, li<br />
ascolta, e insieme a loro ricostruisce<br />
il clima dell’epoca, le vicende<br />
personali e collettive, il prima e il<br />
dopo. È quando chiede il come e<br />
soprattutto il perché che esce una<br />
parola chiave: il sentimento. A<br />
partire da quella parola, la cifra del<br />
libro, l’autore non si sofferma più<br />
solo alla superficie degli eventi ma<br />
scandaglia sempre più approfon<strong>di</strong>tamente<br />
le vite <strong>di</strong> quegli<br />
uomini. Quasi come nella<br />
psicanalisi, si ferma sugli<br />
scivolamenti, sui ritorni, sugli<br />
slittamenti della memoria e del<br />
linguaggio: i lapsus, le rimozioni,<br />
le cancellazioni, le improvvise<br />
rivelazioni <strong>di</strong>ventano la fonte<br />
principale per ricostruire non solo<br />
la storia ma le relazioni in cui si<br />
muovevano gli attori <strong>di</strong> tale storia.<br />
In realtà la vicenda del libro è<br />
stata raccontata più volte nel corso<br />
degli ultimi anni. Eppure Berrini<br />
percepisce una coltre <strong>di</strong> silenzio. È<br />
proprio questo silenzio che vuole<br />
interrogare. «In questi anni è stata<br />
fatta qualche analisi. Ma erano<br />
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