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Dizionario Filosofico Integrale - Eliohs

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Affatica un suolo ingrato con i suoi buoi indeboliti.<br />

L’antichità è piena di elogi di un’altra antichità più remota :<br />

Gli uomini, in ogni tempo, hanno pensato che una volta<br />

Lunghi ruscelli di latte serpeggiavano tra i nostri boschi;<br />

La luna era più grande, e la notte meno oscura;<br />

L’inverno s’inghirlandava di fiori e di verzura;<br />

L’uomo, questo re del mondo, e re molto ozioso,<br />

Contemplava se stesso con calma, ammirava il proprio nulla,<br />

E, fatto per agire, si compiaceva di non fare nulla, ecc. 2<br />

Orazio combatte questo pregiudizio con finezza pari alla forza nella sua bella epistola ad Augusto.<br />

«Bisogna, allora – dice –, che le nostre poesie siano come i nostri vini, tra cui i più vecchi sono<br />

sempre i preferiti?» [Epist., II, 1, 34]. Poi aggiunge:<br />

Indignor quidquam reprehendi, non quia crasse<br />

Compositum illepideve putetur, sed quia nuper;<br />

Nec veniam antiquis, sed honorem et praemia posci.<br />

[…]<br />

Ingeniis non ille favet plauditque sepultis;<br />

Nostra sed impugnat; nos nostraque lividus odit, etc. 3<br />

Ho visto questo passo imitato nel seguente modo in versi familiari:<br />

Rendiamo sempre giustizia al bello.<br />

È forse brutto perché è nuovo?<br />

Perché dare la preferenza<br />

Ai pessimi versi del tempo che fu?<br />

È inutile applaudirli;<br />

Non hanno più diritto alla nostra indulgenza.<br />

I vecchi libri sono tesori,<br />

Dice l’invidia stupida e maligna.<br />

Non ch’essa ami i morti:<br />

Detesta chi è vivo.<br />

Il dotto e arguto Fontenelle si esprime così a proposito di questo argomento: «Tutta la questione<br />

concernente il primato tra antichi e moderni, correttamente intesa, si riduce a sapere se gli alberi<br />

delle nostre campagne di una volta fossero più grandi di quelli di oggi. Qualora lo siano stati,<br />

Omero, Platone, Demostene non possono essere eguagliati dai secoli più recenti; se, però, i nostri<br />

alberi sono grandi tanto quanto quelli di una volta, noi possiamo eguagliare Omero, Platone e<br />

Demostene.<br />

«Chiariamo questo paradosso. Se gli antichi fossero stati dotati di più spirito di noi, il motivo è che<br />

quindi a quei tempi i cervelli erano meglio conformati, fatti di fibre più salde o più delicate, più<br />

ricchi di spiriti animali; ma in virtù di che cosa i cervelli di quei tempi sarebbero stati meglio<br />

conformati? Anche gli alberi avrebbero dunque dovuto essere più grandi e più belli; se, infatti, la<br />

natura fosse stata allora più giovane e più vigorosa, anche gli alberi, come i cervelli degli uomini,<br />

avrebbero dovuto risentire di quel vigore e di quella giovinezza» (Digressione sugli antichi e i<br />

moderni, tomo IV, edizione del 1742).<br />

Con il permesso di questo illustre accademico, non è affatto questo il punto della questione. Non si<br />

tratta di sapere se la natura ha potuto produrre oggi genii altrettanto grandi e lavori altrettanto belli<br />

2<br />

A parte le prime parole, questi versi sono tratti dal Discours sur l’homme, VI, di Voltaire stesso.<br />

3<br />

Orazio, Epist., II, 1, 76-78, 88-89: «M’indigno che un’opera venga criticata non perché viene ritenuta grossolana o<br />

priva di grazia, ma perché è recente; e che non si chiede comprensione per gli scritti antichi, bensì onori e premi. //<br />

[Costui] non solo sdegna gl’ingegni sepolti, ma osteggia noi e le nostre opere per mero astio».<br />

2

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