Dizionario Filosofico Integrale - Eliohs
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Non solo tutti i nostri grandi criminali che hanno governato, e quelli che in subordine hanno<br />
condiviso con loro il potere, non hanno creduto di ricevere Dio nel proprio ventre, ma non hanno<br />
mai neanche creduto davvero in Dio; o, per lo meno, ne hanno interamente cancellato l’idea nella<br />
propria testa. Il loro disprezzo per il sacramento che facevano e che conferivano è stato portato fino<br />
al disprezzo di Dio stesso. Qual è dunque la risorsa che ci resta contro la depredazione, l’insolenza,<br />
la violenza, la calunnia e la persecuzione? Di convincere in modo efficace dell’esistenza di Dio il<br />
potente che opprime il debole. Il potente, almeno, non dovrà ridere di questa opinione: e se non ha<br />
creduto che Dio fosse nel proprio stomaco, potrà credere che Dio sia in tutta la natura. Un mistero<br />
incomprensibile l’ha disgustato: ma potrà egli dire che l’esistenza di un Dio rimuneratore e<br />
vendicatore è un mistero incomprensibile? Insomma, quand’anche non si sia sottomesso alla voce di<br />
un vescovo cattolico che gli ha detto «Ecco, questo è il tuo Dio, che un uomo da me consacrato<br />
mette nella tua bocca», potrà mai egli resistere alla voce di tutti gli astri e di tutti gli esseri animati<br />
che gli gridano «Dio è il nostro creatore»? [p.v.]<br />
Ezechiele<br />
Su alcuni passi singolari di questo profeta<br />
e su alcuni usi antichi<br />
È ormai sufficientemente noto che non dobbiamo giudicare gli usi antichi raffrontandoli con quelli<br />
moderni: chi volesse riformare la corte di Alcinoo nell’Odissea [VII-VIII] sul modello di quella del<br />
Gran Turco o di Luigi XIV, non riceverebbe una buona accoglienza da parte dei dotti; chi<br />
biasimasse Virgilio per aver rappresentato, nell’atto di ricevere ambasciatori, il re Evandro con una<br />
pelle d’orso addosso e accompagnato da due cani [Eneide, VIII, 457 sgg.], sarebbe un cattivo<br />
critico.<br />
I costumi degli antichi Egizi e degli Ebrei differiscono dai nostri ancor più di quanto non divergano<br />
da quelli del re Alcinoo, di Nausicaa e del buon Evandro.<br />
Ezechiele, schiavo presso i Caldei, ebbe una visione vicino alle rive del piccolo fiume Chebar,<br />
affluente dell’Eufrate. Non desta meraviglia che abbia visto animali a quattro facce e a quattro ali,<br />
con piedi di vitello, o ruote che si muovevano da sole e avevano lo spirito vitale [Ez 1, 1 sgg.]: anzi,<br />
queste immagini sono gradite alla fantasia. Tuttavia, parecchi critici hanno provato disgusto nei<br />
confronti dell’ordine divino di mangiare, per trecentonovanta giorni, pane d’orzo, di frumento e di<br />
miglio, ricoperto di escrementi umani [Ez 4, 9-12].<br />
Il profeta gridò: «Puh! Puh! Puh! La mia anima finora non è stata insozzata fino a questo punto» [Ez<br />
4, 14]; e il Signore gli rispose: «Beh, allora al posto di escrementi umani, ti do sterco bovino, e con<br />
esso impasterai il tuo pane» [Ez 4, 15].<br />
Siccome non si è abituati a mangiare siffatte marmellate sul proprio pane, la maggior parte degli<br />
uomini trova questi ordini indegni della maestà divina. Eppure, bisogna riconoscere che lo sterco di<br />
vacca e tutti i diamanti del Gran Mogol sono perfettamente uguali, non solo agli occhi di un essere<br />
divino, ma anche a quelli di un vero filosofo; quanto, poi, alle ragioni che Dio poteva avere per<br />
comandare una simile colazione al profeta, non spetta a noi indagarle.<br />
Qui ci basta solo far vedere che ordini come questo, i quali oggigiorno ci sembrano strani, non<br />
apparvero tali agli Ebrei.<br />
È vero che la Sinagoga non permetteva, ai tempi di san Girolamo, la lettura di Ezechiele a chi non<br />
avesse ancora compiuto i trent’anni d’età; ma ciò era dovuto al fatto che, nel capitolo XVIII [2<br />
sgg.], egli afferma che il figlio non porterà più la colpa di suo padre e che non si dovrà più dire: «I<br />
padri hanno mangiato uva acerba e ai figli si allegano i denti».<br />
Sostenendo ciò, Ezechiele veniva a trovarsi in aperta contraddizione con Mosè, il quale, nel capitolo<br />
XXVIII dei Numeri [recte: 14, 18], afferma che i figli portano la colpa dei padri fino alla terza e<br />
quarta generazione.<br />
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