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Dizionario Filosofico Integrale - Eliohs

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Ezechiele, nel capitolo XX [25], fa inoltre dire al Signore che Lui ha dato agli Ebrei precetti che<br />

non sono buoni. Ecco perché la Sinagoga proibiva ai giovani una lettura che poteva far dubitare<br />

dell’inoppugnabilità delle leggi di Mosè.<br />

I critici dei giorni nostri rimangono ancora più sconcertati leggendo il capitolo XVI di Ezechiele [3<br />

sgg.]. Ecco come il profeta adempie al compito di far conoscere i crimini di Gerusalemme.<br />

Introduce il Signore come se stesse rivolgendo queste parole ad una giovane: «Quando nascesi, il<br />

cordone ombelicale non ti era stato ancora tagliato, non eri stata cosparsa di sale ed eri<br />

completamente nuda: ebbi pietà di te. Sei diventata grande, il tuo seno si è formato e ti è comparso<br />

il pelo: sono passato, ti ho vista e ho capito che era venuto il tempo degli amori; ho coperto le tue<br />

vergogne; mi sono disteso su di te col mio mantello; sei stata mia; ti ho lavata e profumata; ti ho<br />

fatto indossare belle vesti e bei calzari; ti ho donato una sciarpa di cotone, braccialetti e una collana;<br />

ti ho messo una gemma al naso, orecchini e una corona sul capo ecc.<br />

Dopo di allora, confidando nella tua bellezza, hai fornicato per denaro con tutti i passanti… E hai<br />

creato un postribolo e ti sei prostituita perfino nelle pubbliche piazze; e hai aperto le gambe a ogni<br />

passante…; e sei andata a letto con degli Egizi; e infine, hai pagato amanti e offerto loro regali<br />

perché giacessero con te…; e, pagando invece di essere pagata, hai fatto il contrario di quello che<br />

fanno le altre prostitute… Il proverbio recita: Tale madre, tale figlia; ed è ciò che si dice di te ecc.».<br />

I critici insorgono ancora di più contro il capitolo XXIII [2 sgg.]. Una madre aveva due figlie che<br />

avevano perduto presto la verginità: la maggiore si chiamava Oolà e la minore Oolibà. «Oolà<br />

andava pazza per giovani signori, magistrati e cavalieri; è giaciuta con degli Egizi fin dalla prima<br />

giovinezza… Oolibà, sua sorella, fornicò molto di più ancora con ufficiali, magistrati e cavalieri di<br />

bell’aspetto: svelò tutta la sua turpitudine; moltiplicò le sue fornicazioni; ricercò ardentemente gli<br />

amplessi con coloro che hanno il membro come quello di un asino e che spargono il loro seme come<br />

cavalli…».<br />

Queste descrizioni, che sbigottiscono tanti spiriti deboli, non indicano tuttavia altro che le iniquità<br />

di Gerusalemme e della Samaria; le espressioni che oggigiorno ci sembrano libere, a quei tempi non<br />

lo erano. La stessa ingenuità traspare senza alcuna titubanza in più di un luogo delle Scritture. Vi si<br />

parla spesso, ad esempio, di aprire la vulva. I termini dei quali esse si servono per indicare<br />

l’accoppiamento di Booz con Rut [Rut 4, 13] e di Giuda con sua nuora [Gn 38, 18] non sono sconci<br />

in ebraico, mentre lo sarebbero nella nostra lingua.<br />

Non ci si copre con un velo, quando non si prova imbarazzo per la propria nudità. Come ci si poteva<br />

vergognare a quell’epoca di nominare i testicoli, se era uso toccare i genitali di coloro ai quali si<br />

facevano delle promesse? Si trattava di un segno di rispetto, di un simbolo di fedeltà come lo era, un<br />

tempo fra noi, la consuetudine dei piccoli vassalli di mettere le proprie mani tra quelle dei loro<br />

grandi feudatari 246 .<br />

Noi abbiamo tradotto genitali con «coscia». Eliezer mette la mano sotto la coscia di Abramo [Gn<br />

24, 2]; Giuseppe, sotto quella di Giacobbe [47, 29]. Un tale costume era assai antico in Egitto. Gli<br />

Egizi erano così lontani dal considerare indecente quello che noi non osiamo né scoprire né<br />

nominare, che portavano in processione una grande immagine del membro virile chiamato phallum,<br />

per ringraziare gli dèi di aver reso questo membro utile alla propagazione del genere umano.<br />

Tutto ciò basta a provare che il nostro senso della decenza è diverso da quello degli altri popoli.<br />

Esiste forse un’epoca in cui i costumi dei Romani furono più integri di quanto lo fossero nel secolo<br />

di Augusto? Eppure, Orazio non ha alcuna remora a scrivere, in un’opera morale:<br />

Nec vereor ne, dum futuo, vir rure recurrat 247 .<br />

248 Augusto si serve della stessa espressione in un epigramma contro Fulvia.<br />

246 Superiore (in gerarchia). (K.)<br />

247 Orazio, Satire, I, II, 127: «Né temo, mentre la penetro, che il marito torni improvvisamente dai campi».<br />

248 Questa frase non è del 1764, ma del 1765. (M.) L’epigramma si legge alla voce Ottaviano Augusto.<br />

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