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tutto del senso del divino e del mito. Perciò anche il mito ha lungo corso nella mia narrativa. Non mi<br />
scoraggia il fatto che il mito è favola, secondo il suo etimo greco, e che quindi si colloca in uno spazio<br />
fantastico. (...) Tutto ciò che noi sappiamo, che abbiamo appreso in qualunque modo, è in buona parte<br />
mitizzato. La mente umana è per sua natura mitopoietica, perché non si contenta della cosiddetta realtà,<br />
che non si sa bene cosa sia, e ha sempre la tendenza ad abbellirla, a fantasticare su di essa, a renderla<br />
insomma più ricca d’interesse e di fascino.” 11<br />
3. Dare un volto al sacro<br />
L’atteggiamento di Sgorlon nei confronti della vita e della natura era indubbiamente religioso.<br />
Tuttavia si trattava di una forma molto generale di sensibilità religiosa che egli chiamava “il primo gradino<br />
della religiosità”, comune a tutte le religioni del mondo. 12 Questa religiosità consiste in un atteggiamento<br />
di riverenza e devozione verso la sacralità della natura, riassunto in maniera esemplare in<br />
una poesia indiana che Carlo amava citare: “Dio dorme nella pietra, sogna nel cane, acquista coscienza<br />
di sé nell’uomo.” 13<br />
Ciò che non è più possibile, secondo Sgorlon, è dare un volto, un’intenzione, una volontà, un<br />
pensiero a Dio. “Dio esiste, e ciascuno lo può attingere e sentire dentro di sé nei modi più semplici.<br />
Il Dio che non riusciamo più a concepire è quello personale, che giudica, provvede, ama, modellato<br />
sull’uomo e la sua intelligenza. Ha ragione Feuerbach, mi pare, questo Dio non è che una proiezione<br />
dell’uomo, un’invenzione dei profeti vocati a scrivere bibbie, vangeli, veda o corani. Ma se non si può<br />
più credere in questo dio mitico, giustiziato da Nietzche e da infiniti prima di lui, non si può non credere<br />
nel dio dei panteisti, che è la somma delle forze cosmiche: dei campi magnetici, della gravitazione, delle<br />
affinità chimiche tra gli elementi. Di tutto ciò, insomma, che fa vivere la materia ed ha fatto scaturire<br />
la vita da essa. Possiamo chiamarlo come vogliamo: Dio, Forza Cosmica; Forza della vita (come Thomas<br />
Mann), natura (come Baruch Spinoza), natura naturans (come Giordano Bruno). La sostanza non cambia.<br />
Se dietro la materia vivente non c’è uno spirito che la rende tale, la materia stessa è Dio, perché<br />
ha creato il mondo, la vita e la nostra stessa intelligenza.” 14<br />
Sgorlon aderiva dunque a una posizione filosofica panteista. Nei personaggi dei suoi romanzi<br />
“l’antico Dio, personale e paterno, è stato sostituito da un Dio più concepibile e più vago, quello dei<br />
panteisti. (...) Da ciò l’impressione di sacralità e di religiosità indefinita che i miei libri emanano. Non<br />
è una religiosità cattolica o luterana, o ebraica, ma panteistica. Non c’è dubbio, comunque, che anche<br />
per questa via i miei libri vadano in una direzione contraria a quel complesso d’idee che dominano la<br />
nostra cultura” 15 . Per Sgorlon questa religiosità è tipica della cultura contadina, come in Friuli fino a<br />
cinquant’anni fa, “in apparenza cattolica, ma nella sostanza panteista.” 16<br />
In numerose occasioni ho cercato di discutere con Sgorlon intorno al problema del “volto di<br />
Dio”. Condivido l’idea di Carlo che sia molto difficile credere ai contenuti di numerose religioni contemporanee,<br />
nelle quali Dio non sembra altro che una proiezione delle nostre paure e dei nostri desideri.<br />
11 id., Tra epos e metafisica, 2007.<br />
12 id., Necessità del sacro..., cit.<br />
13 id., La mia religiosità, cit.<br />
14 id., Ethos e sacralità, cit.<br />
15 id., Perché narrare<br />
16 id., Ricollocare l’uomo nella natura, cit.