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mannaro. In questo romanzo, dello Sgorlon più tipicamente “tedesco”, 22 Walter, l’io narrante della storia,<br />
subisce fin da subito e sia pure “a distanza” le conseguenze paradossali di un grave incidente occorso<br />
a un treno merci, deragliato su un raccordo alla stazione di <strong>Udine</strong>, preannunciato da un “gran fischio<br />
di treno” e poi da uno “sfasciume di urti e di cigolii che si incrociano e si aggrovigliano”:<br />
Forse hanno scaricato un vagone di rottami, nella ferriera.<br />
Spalanco di colpo gli scuri sul viso della notte. La prima cosa che riesco a vedere è un gran fuoco sotto un capannone.<br />
Le fiamme a volte aumentano all’improvviso, con venature gialle e globi di fumo scuro. Forse sono esse a colorare<br />
il cielo di soffi rossastri. Accanto all’altoforno riesco a vedere alcuni vagoni cilindrici, color argento, rovesciati lungo la<br />
scarpata della ferrovia. Vicino e sotto di essi c’è una cascata di cose vive e brillanti. Cosa diavolo sarà?<br />
Vedo già piccole forme nere correre lungo i vagoni, saltando come grilli o cavallette. Devo correre anch’io? Cerco<br />
di convincermi che è una cosa che non mi riguarda, una cosa lontana, basta che chiuda gli occhi un momento perché<br />
non esista più. Ma ogni volta che li riapro, i grilli e le cavallette sono sempre più numerosi. Sembra che saltino fuori dalla<br />
terra, da buchi invisibili scavati nei prati o nel pietrisco ferroviario. Le loro minuscole figure nere sono illuminate dal rosso<br />
delle fiamme. Mi infilo in fretta la vestaglia, temendo di essere già in ritardo, e via di galoppo, chiedendomi se sia stato<br />
il rantolo misterioso o il fischio del treno a stanarmi dalla soffitta.<br />
Ben presto mi trovo sulla scarpata. Vado avanti saltando, cercando di individuare velocemente la pietra meno<br />
spigolosa sulla quale tra un istante metterò il piede, ma i sassi sembrano tagliati tutti con la scure, e ogni passo è un<br />
guizzo di dolore dal tallone al cervelletto. 23<br />
I pesci continuano “a venir giù a fontana dai vagoni squarciati” e un nugolo di persone sfacciate<br />
e insistenti come cavallette cercano di procacciarseli a più non posso e senza troppi riguardi. L’odore<br />
salmastro aggredisce le narici di Walter, che viene sconvolto da una nausea insopportabile. Ben presto,<br />
a questa scena caotica e concitata, se ne aggiunge una più agghiacciante: dalle lamiere slabbrate<br />
e contorte della cabina della locomotiva “viene fuori un ostinato gocciare di sangue”, “un gocciolare<br />
regolare, come se si trattasse di un rubinetto malchiuso”: 24<br />
Finalmente la portiera cede. Tutti si spingono o si tirano per vedere. Tra quelli che stanno dietro<br />
scopppiano delle liti, due vecchi cominciano a mollarsi calci negli stinchi. Dentro la cabina non c’è<br />
nessuno, solo una piccola chiazza di sangue che si sta raggrumando. Guardo in alto, e mi accorgo che<br />
il tetto è sfondato e che chiunque potrebbe essere passato di lì. 25<br />
La scena dell’incidente ferroviario notturno, che percorre e domina un po’ tutta la prima parte<br />
del romanzo, si accresce più oltre di un nuovo, sinistro particolare. Da una cabina di un vagone squarciato,<br />
da cui sta gocciolando altro sangue, spunta l’angolo di una foto: è quella di un ferroviere. L’io narrante<br />
inizia da qui la ricerca spasmodica di questa figura, che ha strane somiglianze con un vecchietto<br />
che, trovato sul luogo dell’incidente, lo insegue nottetempo. Ma poi, nel caos onirico di quella memorabile<br />
notte, Walter inizia a dimenticarsi del ferroviere da ricercare, e a escluderlo dalla cerchia dei possibili<br />
“padri”, salvo poi definire questa ricerca non conclusa “una battaglia perduta.” 26<br />
22 Si veda a questo proposito il saggio di Luigi Reitani in questo stesso volume.<br />
23 Carlo Sgorlon, La notte del ragno mannaro, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1995, p. 15-16.<br />
24 Op. cit., p. 23.<br />
25 Op. cit., p. 25.<br />
26 Op. cit., p. 109. Il critico Toscani identifica in questa figura quella del padre del protagonista del racconto, anche se in Walter<br />
il riconoscimento è ben più lento e contraddittorio: “Penso malinconicamente che forse mia madre non ha mai conosciuto un<br />
ferroviere, e tutto non è altro che un’invenzione della mia mente febbrile, del mio desiderio di avere un padre.” (p. 151). Cfr.<br />
Claudio toSCani, Invito alla lettura di Carlo Sgorlon, Milano, Mursia, 1994, p. 53.