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121228-sgorlon - Udine Cultura

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40<br />

piamo soltanto quel che ci dice il narratore o pensano gli altri componenti del gruppo di amici. Diverso<br />

è il caso del Trono di legno, dove Giuliano racconta e argomenta la scoperta dei prodigi della finzione<br />

in prima persona, e per uno spazio testuale molto esteso: ben 247 pagine 91 . In tal senso, il passo più<br />

significativo è forse quello in cui il protagonista narra come abbia rinunciato a inseguire il Danese per<br />

inseguire piuttosto Ismaele... Su questa pagina – che è una delle migliori del romanzo e merita di essere<br />

trascritta per intero – vorrei concludere:<br />

per tutto il tempo che stetti lassù [ad Aarhus] [...] mi pareva che tutti i miei gesti, le mie parole, gli incontri con<br />

la gente, l’odore salmastro del mare, gli spruzzi, le sirene delle navi, tutto fosse già visto e accaduto, perché ci avevo già<br />

troppo pensato e fantasticato. Non desideravo più salire sulle navi in partenza, percorrere le rotte del Baltico o del mare<br />

del Nord, dei mari d’Islanda e di Groenlandia, scrutare la nebbia nell’attesa impaurita dell’iceberg, o vedere i soffi delle<br />

balene, come Ismaele. [...] Forse, qualunque cosa avessi intrapresa, avrei avuto d’ora in poi la sensazione che fosse già<br />

accaduta, e che io fossi soltanto il mezzo per farla rivivere, la puntina d’acciaio del grammofono che avrebbe restituito per<br />

l’ennesima volta un’antica sinfonia. Ma certo. Noi non eravamo che musiche effimere contenute da un disco, da uno spartito<br />

che può essere suonato infinite volte, mentre ritenevamo di essere lo spartito medesimo, e che i suoi fogli venissero<br />

stracciati con la nostra morte, in maniera che le note non venissero più ripetute. Le cose si ripetevano, ritornavano uguali,<br />

si ripercuotevano come echi, somigliando tutte quante a una accaduta in principio del tempo. Non era assolutamente<br />

necessario che io salissi su quelle navi. Mille prima di me l’avevano fatto (e tra gli altri Daniel Wivallius [, il Danese]) e<br />

mille l’avrebbero fatto dopo di me. Io potevo farne a meno appunto perché sapevo che era già successo, e soprattutto<br />

perché mi pareva di esserci già stato.<br />

Non serviva che io andassi a caccia di balene perché l’avevo già fatto quando avevo letto Moby Dick nelle fredde<br />

stanze della casa di Ontàns. Che erano i mille e mille cacciatori di balene esistiti prima e dopo Ismaele, in confronto a<br />

lui? Ombre, soltanto ombre, che avevano popolato i ponti delle navi nei mari caldi e freddi, nelle nebbie e nelle tempeste,<br />

che avevano sentito un entusiasmo incontenibile quando il gabbiere aveva gridato “laggiù Soffia!”, che avevano rischiato<br />

la vita, cacciato ramponi nel cuore dei capodogli, eseguendo sempre i medesimi gesti, provando gli stessi sentimenti, una<br />

ripetizione infinita, inconsapevole, che soltanto a ciascuno di essi poteva sembrare novità, perché non pensavano a ciò<br />

che era accaduto agli altri, prima di loro. Soltanto uno faceva eccezione perché l’aveva raccontato, tingendo la sua penna<br />

nell’inchiostro di un’incredibile forza vitale, e aveva fatto di se stesso un personaggio eterno, con il quale prima o poi<br />

avrebbero potuto o dovuto fare i conti tutti i marinai delle baleniere. era iSmaele, era melville.<br />

Mi sembrò di essere sulla strada di una grande scoperta. Fui certissimo che Ismaele era più vero e reale di tutti<br />

gli altri marinai di ogni tempo, fantasmi insignificanti i quali non avevano fatto altro che ripetere un antico modello.<br />

Anch’io, anch’io ero soltanto un’ombra affascinata dai miti e dalle avventure. Attraverso la fantasia avrei potuto vivere<br />

e raccontare tutte le avventure del mondo, mentre viverle veramente, ora, mi avrebbe soltanto generato un sentimento<br />

di noia e di ripetizione. Che errore, cercare il Danese! Che delusione se l’avessi trovato! Non avrebbe potuto essere che<br />

un vecchio pieno di reumatismi, che si trascinava da una taverna all’altra, che viveva in qualche miserabile ospizio e si<br />

lamentava dei propri guai. Forse Maddalena aveva risposto alla sua lettera, tanti anni prima, ma lui non per questo era<br />

uscito dalla sua cupa bottega di Aarhus perché sestanti arrugginiti e vecchie carte nautiche, nel suo strambo delirio senile,<br />

gli parevano ormai le cose più importanti del mondo. No. Il vero Danese non dovevo cercarlo quassù, nelle case o nelle<br />

bettole di Aarhus, ma a Ontàns, nei discorsi e nei ricordi di quelli che avevano creato la sua leggenda, e soprattutto nella<br />

mia fantasia, e il mio compito era di ricavare da essi una forma perenne, come Melville aveva fatto con Ismaele, scrivendo<br />

una storia su di lui. Questa era la mia vera, unica avventura. 92<br />

91 Tante sono nella nostra edizione di riferimento, pubblicata negli Oscar Mondadori (cfr. C. Sgorlon, Il trono di legno, cit.): il<br />

romanzo inizia infatti a p. 19 e si conclude a p. 265.<br />

92 Ivi, pp. 247-249.

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