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Ne L’alchimista degli strati, viene annessa molta rilevanza al senso dell’ospitalità da parte degli<br />
autoctoni arabi nei confronti degli occidentali. Vanno individuate a questo riguardo due pause narrative<br />
che illustrano sia i topoi che le figure dell’ospitalità.<br />
La prima si riferisce all’episodio della convalescenza di Irene consecutiva all’aborto da lei subito.<br />
Si assiste ad una scena corale che pur nella sua stringatezza si addice alla nostra impostazione critica.<br />
L’intreccio tra la focalizzazione neutra e quella interna connessa al sentimento provato dalle donne<br />
pone l’accento sulle ripercussioni psicologiche del repentino incontro interculturale. Indubbiamente,<br />
l’ospitalità esula dalla mera obbedienza ad una norma introiettata per quanto trapeli il retaggio di una<br />
consuetudine atavica. Le donne musulmane ospitanti non considerano l’accoglienza in modo unilaterale<br />
come un mero servigio reso ad una straniera che ha patito come loro nelle proprie viscere. Certo, si<br />
intuisce nel testo una solidarietà muliebre, ma ad essa si aggiunge la scoperta sconvolgente o conturbante<br />
dell’alterità di cui Irene è depositaria. La giovane italiana squarcia il velo su un altro sistema antropologico<br />
rimosso dalla psiche delle donne arabe oppure ancora ignoto. Va notato che questa scena<br />
evoca un incontro pacifico di civiltà perché Sgorlon è solito presentare la terrestrità femminile come un<br />
antidoto al fanatismo ideologico e religioso che permea l’azione di tanti personaggi maschili. In filigrana,<br />
il testo presenta l’idea secondo la quale anche una società in certo qual modo autarchica, retta da<br />
un sistema rigido di valori viene prima o poi confrontata a modelli antropologici esogeni.<br />
Ma le donne del villaggio insistevano perché si fermassero ancora. Avevano un forte senso dell’ospitalità. In più<br />
Irene aveva per esse un’attrattiva speciale, inconfessata e inconfessabile, perché in ogni particolare e in ogni atteggiamento,<br />
persino nel modo di vestire, era così diversa da loro. Sentivano il fascino della straniera, che però in pari tempo<br />
era anche quello del proibito e del diverso. 8<br />
La seconda pausa narrativa subentra alle traversie che incalzano Martino in seguito al golpe<br />
nell’emirato. Smarrita ogni traccia di Irene ed inviso al nuovo regime politico impadronitosi del potere,<br />
egli cerca refrigerio alla sua disperazione fuggendo nel deserto per cui incontra ad un certo punto i<br />
beduini. Il reticolo diegetico appare piuttosto parco dei particolari che conferirebbero a questi abitanti<br />
un fascino esotico. Primeggiano in compenso sia un’essenzialità della condizione nomada espressa<br />
con due frasi ellittiche che l’ospitalità nei confronti dello straniero qual è Martino, errabondo in questo<br />
frangente per necessità, ma anche per idiosincrasia. Pur appartenendo a due civiltà ritenute antagoniste,<br />
Martino e i nomadi sono pronti ad accogliersi a vicenda. Come ne Il filo di seta, accade l’intervento<br />
vulnerario ad opera dell’ospitato che salva la vita dell’ospitante o di un membro della sua famiglia.<br />
Facendo dono della sua perizia, Martino è ammantato del prestigio del taumaturgo dopo la guarigione<br />
della fanciulla affetta da difterite. Egli è quasi equiparato ad un inviato di Dio misericordioso, ovvero<br />
incarna la figura dell’ospite dotato di teoxenia.<br />
Nomadi del deserto. Beduini. Costoro non dissero molte parole, ma lui intese subito che il loro atteggiamento<br />
era ospitale e benevolo. 9<br />
Sempre in questa fase del racconto, la figura di Dhu l’Himma ricalca quella di moltissime donne<br />
<strong>sgorlon</strong>iane, segnatamente quella di Ajdym ne la conchiglia di Anataj. Viene tratteggiata mediante<br />
un susseguirsi di episodi che mettono in risalto la sua dedizione nei confronti di Martino per cui appare<br />
come una “meretrice serena” che lungi dall’essere rea di mercimonio viene soffusa da un’aura di sacralità.<br />
La relazione sensuale tra i due personaggi rappresenta quindi l’apice del dono di ospitalità anziché<br />
uno sfogo di concupiscenza avvilente. Particolarmente suggestivo riesce l’inserimento del rapporto<br />
amoroso entro la cornice del deserto giacché ribadisce il legame tra l’essere e il mondo in una prospet-<br />
8 Ibid., p. 139<br />
9 Ibid., p. 165<br />
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