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Arrivato alla stazione Lazzaro si riscosse e fermò i cavalli impetuosamente. Fuori dall’edificio, sotto l’occhio luminoso<br />
dell’orologio, c’erano un paio di carrozzelle, con i cocchieri infreddoliti che ogni tanto sbattevano i piedi per terra,<br />
o si fregavano le mani. Una vecchia seduta dentro una nicchia del muro vendeva le caldarroste. 12<br />
E se dall’esterno della stazione, in un’atmosfera rassicurante e tipicamente invernale, quasi<br />
tratta da una cartolina d’epoca, si passa poi al suo interno, il clima silente d’attesa, appena scosso dalle<br />
consuete operazioni di manovra dei carri, diventa predominante:<br />
La stazione era semideserta. Un manovale picchiava qualcosa contro le ruote del treno in sosta su un binario<br />
appartato, con un martello dal manico lunghissimo. Più lontano si muoveva una lanterna ad acetilene, alzandosi e abbassandosi<br />
senza una ragione apparente. Alcuni binari erano bianchi di brina e di ghiaccio. Una piccola locomotiva di servizio<br />
sbuffava su e giù, lasciandosi dietro grandi nuvole di fumo bianco, che s’illuminava alla luce della luna che stava sorgendo.<br />
Qualche vagone scuro qua e là, sui binari morti, vicino allo scalo merci. Tutti tacevano, tutti aspettavano. 13<br />
La stazione si fa proscenio ideale per l’arrivo del protagonista Matteo. Il mito del lasimpón<br />
“(corruzione friulana del tedesco Eisenbahn, ferrovia), che seduce i friulani e li attira nei quattro angoli<br />
della terra col richiamo del lavoro, ma anche col fascino romantico dei posti sconosciuti”, 14 qui si rovescia<br />
in un’altra sirena, la Heimveh, dopo una vita intera passata all’estero: è il forte desiderio di ritornare<br />
nella propria terra, il Friuli, che distingue e segna le vicende di tanti altri personaggi della galleria<br />
<strong>sgorlon</strong>iana, ma al tempo stesso carica la vicenda narrata di elementi nuovi, inediti o addirittura magici,<br />
che solo l’arrivo di un personaggio da un posto esotico e lontano sembra poter pienamente assicurare.<br />
L’eccezionalità della prestanza fisica di Matteo si riflette istantaneamente nelle cose che gli<br />
stanno attorno (“tutto ciò che lo circondava, la pensilina verde, le colonne di ferro, la stazione, gli pareva<br />
rimpicciolito”), 15 e il protagonista, che la stazione ha prima accolto e poi restituisce nelle sue vere<br />
dimensioni, è ora pronto a entrare in azione.<br />
Ventidue anni dopo, nel 2003, quando il fantasioso e anarcoide protagonista de L’uomo di Praga,<br />
Alvar, entra in scena, Sgorlon preferisce presentarcelo come forestiero intabarrato in un mantello<br />
scuro, che cammina a passi decisi per le vie del piccolo paese di montagna, Naularo. Ma se non si<br />
presenta subito alla stazione di Naularo, disceso da un accelerato d’inizio secolo, poco ci manca. Ben<br />
presto, infatti, Alvar si farà sorprendere nella piccola stazione del paese e Sgorlon ci spiega il perché:<br />
“vi saliva per recarsi in città o per andare fino al confine, dove passavano anche convogli internazionali<br />
che volavano verso le grandi città dell’Impero, Vienna, Salisburgo, Praga, Budapest”, o per sdoganare<br />
una serie di casse di legno arrivate “con un merci dalla Boemia” 16 che contenevano un oggetto particolarissimo<br />
e misterioso: uno dei primi proiettori cinematografici che, rimontato, regalerà a Naularo l’emozionante<br />
esperienza del cinema muto.<br />
In Sgorlon la confidenza con i soggetti ferroviari è comunque sentita anche in circostanze dove<br />
il treno non vi può essere, perché quella valle angusta e sperduta, che darà il titolo al romanzo, il treno<br />
non poteva attraversarla. Basta allora la conformazione delle sedute di un’osteria di paese, che si rivelerà<br />
essere il vero centro di quella comunità, per evocare all’inizio del racconto un’atmosfera che non<br />
può che essere familiare e cordiale:<br />
12 Op. cit, p. 15.<br />
13 Op. cit, p. 15-16.<br />
14 Carlo Sgorlon, La penna d’oro, cit., p. 100<br />
15 Carlo Sgorlon, La contrada, cit., p. 17.<br />
16 Carlo Sgorlon, L’uomo di Praga, Milano, Mondadori, 2003, p. 14.