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121228-sgorlon - Udine Cultura

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uomini guardando a una nuova dimensione dell’esistere. In lui si sommano tutti i grandi progetti dei<br />

personaggi di Sgorlon, e tutte le imprese eroiche che vanno nella direzione di una profonda revisione<br />

dei parametri con cui si intende il mondo. Sgorlon aveva bisogno della natura eterna e intoccabile del<br />

racconto fiabesco per elaborare i suoi complessi messaggi di interprete del mondo attuale (interprete,<br />

cioè ermeneuta, cioè figlio di Hermes). Quando, nell’ultima parte del romanzo, l’abbazia e la stamperia<br />

con cui gli adepti diffondono le loro pubblicazioni vengono distrutte dal fuoco, Ermete riesce a superare<br />

subito la fase dell’angoscia e a riprogettare il futuro per sé e per i suoi compagni d’avventura. Da<br />

giovane, Ermete aveva salvato dall’incendio una grande nave sulla quale lavorava come ufficiale, e ora<br />

questa stessa nave serve per distrarre gli amici mentre lui, da solo, pensa alla ricostruzione. Si tratta di<br />

un passaggio ancora una volta mitico-fiabesco, dove l’eroe si fa carico di un nuovo inizio grazie a forze<br />

immense che gli consentono di superare la crisi sua e della sua comunità di appartenenza. Così l’abbazia<br />

rinasce dalle ceneri e diventa una nuova casa editrice adatta a diffondere grandi testi di spiritualità.<br />

In questo modo lo scrittore accenna anche alla sua stessa operazione, il romanzo parla della possibilità<br />

di far ritornare in vita un mondo intellettuale lontanissimo dai nostri tempi. Sgorlon non può rinunciare<br />

a questa sigla utopica che probabilmente sentiva con molta intensità. Così come non poteva chiudere<br />

le imprese del suo ultimo eroe se non nel pensiero della morte e dei cicli cosmici che si succedono<br />

nell’eternità: “Un giorno era nato, un altro sarebbe morto su questa astronave per noi immensa, ma<br />

piccolissima nei confronti dell’universo, chiamata Terra, che corre a oltre centomila chilometri all’ora<br />

dentro il labirinto sconfinato dello spazio, verso un porto che nessuno conosce”. 9 La festa del racconto<br />

non ha paura di guardare direttamente alla fine, dal momento che nell’ottica del tempo carnevalesco<br />

c’è continuità tra morte e rinascita, costruzione e distruzione, e il mondo degli uomini può essere osservato<br />

dall’esterno, come un oggetto definito: il narratore, con un’ultima immagine, ci fa sentire qual è la<br />

strada che resta ancora da percorrere prima di arrivare a nuove verità.<br />

Nota<br />

Mi fa piacere qui ricordare che Sgorlon mi chiese di scrivere i risvolti dei suoi ultimi romanzi, in particolare Il velo di Maya, Le sorelle<br />

Boreali e Il circolo Swedenborg. Questo onore derivò dall’amicizia nata tra noi dopo la presentazione, fatta a Bologna, alla<br />

Biblioteca dell’Archiginnasio, del Processo di Tolosa.<br />

9 Op. cit., p. xxxx

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