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I racconti di Carlo Sgorlon<br />
di Mario Turello<br />
Fu nelle riunioni della redazione dei Quaderni della FACE che feci la conoscenza di Carlo Sgorlon.<br />
Allora quella era una rivista di cultura friulana e non ancora una rivista friulana di cultura, come<br />
iniziò ad essere quando Sgorlon ne divenne il direttore responsabile. A quel tempo egli aveva già scritto<br />
sei romanzi, e per molti anni e molti romanzi ancora ebbi modo di incontrarlo sempre più amichevolmente.<br />
Il ricordo di questa esperienza comune mi dà lo spunto per introdurre la mia relazione sui racconti<br />
di Sgorlon: ricordo infatti la sera in cui ci lasciò sorpresi, perplessi addirittura, noi della famiglia<br />
degli artisti cattolici, dichiarandosi non tanto cattolico, e neppure cristiano, ma piuttosto panteista o<br />
semplicemente, ma profondamente, religioso. In quella stessa occasione disse di considerarsi non tanto<br />
uno scrittore quanto un narratore, e anche questo ci sorprese. Oggi, dopo altri trentacinque romanzi,<br />
queste sue affermazioni riescono assai più chiare e definite ai suoi lettori; in ogni caso, appuntare l’attenzione<br />
sulla narrativa breve di Sgorlon offre anche l’opportunità di illuminare quegli aspetti.<br />
Sono due le raccolte di racconti di Sgorlon: Il quarto re mago e Racconti della Terra di Canaan<br />
(ci sarebbe anche Il paria dell’universo, ma si tratta di due racconti per ragazzi che meglio andranno<br />
collocati accanto ai romanzi I sette veli e Lo stambecco bianco. E certamente altri saranno ancora da<br />
raccogliere). Il quarto re mago e i Racconti della Terra di Canaan furono pubblicati nella seconda metà<br />
degli anni ’80, quando la poetica e la metafisica di Sgorlon erano già compiutamente elaborate, e tutti<br />
e due hanno un’introduzione dell’autore: sono due testi di grande chiarezza che citerò ampiamente.<br />
Invertendo la cronologia, mi soffermerò dapprima sui Racconti della Terra di Canaan, del 1989,<br />
poi su quelli de Il quarto re mago che li precedette di tre anni (andrebbero datati singolarmente, mentre<br />
i Racconti della Terra di Canaan furono concepiti come serie unitaria e scritti in breve arco di tempo).<br />
Inizio da questi perché ebbi il piacere di presentarli poco dopo la loro uscita.<br />
In quegli anni seguivo con interesse due correnti di studio convergenti: sulle riviste di teologia<br />
si andava auspicando, da parte di teologi, biblisti e filosofi del calibro di Weinrich, Metz, Ricoeur,<br />
Molari, Halbfas, il ritorno a una “teologia narrativa” in luogo di quella argomentativa: gran parte, o la<br />
parte religiosamente più significativa, dei testi canonizzati come Bibbia, si osservava, sono narrazioni;<br />
narratore fu Gesù e comunità narrante fu la chiesa nascente. La narrazione, sosteneva Molari, può avere<br />
efficacia salvifica, quasi sacramentale, e portava ad esempio i racconti chassidici (raccolti da Martin<br />
Buber), romanzi come Il vecchio e il funzionario di Mircea Eliade (autore molto caro a Sgorlon, che<br />
ancora lo cita nel Circolo Swedenborg) o libri come Uno psicologo nel lager di Victor Frankl. Proposte<br />
e auspici che purtroppo non hanno avuto ricadute nella pratica teologica, e direi neppure in quella catechetica<br />
o omiletica.<br />
Intanto, sul versante degli studi letterari, critici come Northrop Frye, Robert Alter, Frank Kermo-<br />
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