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121228-sgorlon - Udine Cultura

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Questa visione atomistica, rinforzata dalle teorie sull’energia insita nella materia, sembra corrodere<br />

dall’interno gli intrecci complicatissimi e elaborati dei racconti di Sgorlon, che ne darà diverse<br />

varianti, fino a metterla al centro del suo ultimo romanzo, Il circolo Swedenborg. Alla fine, la vita è il<br />

risultato della conciliazione tra un vorticare di particelle che restano coese per l’azione di un’inesplicabile<br />

energia cosmica e il forsennato interrogarsi da parte degli individui sul senso della loro sorte<br />

nell’universo. Le domande di Alvar su di sé sono le domande ultime sulla natura del mondo. Ma l’effetto<br />

di instabilità del personaggio si riflette nella vertigine della lettura, per cui tanto più gli intrecci si<br />

infittiscono quanto più il racconto sembra smaterializzarsi: resta solo il limitato terreno su cui in quel<br />

momento si appoggiano i piedi, e intorno c’è il vuoto.<br />

Per tutti i personaggi di Sgorlon la sfida è sempre rivolta alla complessità del mondo e al mistero<br />

che si cela dietro a questa complessità, dal quale deve nascere un’opera dell’azione o della creazione<br />

artistica. Qualcosa di simile avviene per Fabrizio Mattioni, il regista della Tredicesima notte che<br />

torna al paese di Monterosso e ritrova le radici della propria creatività. Potremmo leggere questo percorso<br />

di recupero delle radici e di riapertura di uno spazio fecondo dell’immaginazione in controluce con<br />

le idee di Cesare Pavese sul mito e sul bisogno di ritrovare i paesaggi originari che caratterizzano la vita<br />

infantile di ogni individuo per estrarre da essi il significato del destino. Pavese è l’autore che più ha<br />

investigato nel nostro novecento l’importanza del mito e della fiaba come fonti di operazione letteraria<br />

moderna. E Sgorlon non ignora di certo i legami di Pavese con la cultura irrazionalistica del secolo, con<br />

gli studi di antropologia e di storia della religione. Nel caso di Sgorlon, però, la presenza di un fondo<br />

mitico non porta a esiti tragici o cruenti ma produce effetti di positiva riscoperta delle origini individuali<br />

e collettive. E questo avviene sempre grazie alla mediazione di creature femminili capaci di donare<br />

agli uomini nuove ricchezze creative (nel caso del regista Mattioni si tratta della strega Veronica). La<br />

femminilità, col suo lato oscuro, era per Pavese uno scoglio su cui si infrangeva il destino maschile,<br />

nel tormento della scoperta e della comprensione. Sgorlon vede invece l’operazione feconda e salvifica<br />

delle donne. Quando si tratta di ricostruire la cattedrale di Monterosso, simbolo della ritrovata unità<br />

del paese, la strega Veronica vuole che rimangano nell’edificio tutti i segni di culture arcaiche anche<br />

nel loro aspetto più conturbante:<br />

Lei a nessun patto avrebbe voluto rinunciare alla ‘zoologia fantastica’ della Cattedrale, o alle<br />

maschere degli androni, e meno che mai all’immaginario collettivo, da cui quelle cose traevano la loro<br />

origine, perché esso era sentito da lei come una ricchezza, un vero serbatoio di fantasie, immagini e<br />

suggestioni, profondamente legate con l’arte. Le incarnazioni del fantastico e dello spettrale impressionavano<br />

anche lei, a volte, però mai avrebbe voluto rinunciarvi. Sentiva che facevano parte di sé e<br />

di Monterosso, così come di tutte le civiltà di montagna e di campagna, e la loro dissoluzione sarebbe<br />

stata una perdita grave. 4<br />

Qui emerge con forza la posizione che assumono i personaggi femminili nei racconti di Sgorlon,<br />

dove non si può dare vera ricerca da parte degli uomini senza l’intervento risolutore dell’ottica femminile.<br />

Nel romanzo sui cosacchi, è proprio una donna, Marta, a svolgere un ruolo di mediazione non solo<br />

tra i popoli nemici ma anche tra una posizione interna alla Storia e una posizione di contatto con le forze<br />

irrazionali che scorrono sotto gli eventi storici. All’inizio del romanzo, si dice che Marta non riusciva a<br />

comprendere il concetto di “nemico” e che non poteva concepire la guerra, e proprio per questo la sua<br />

4 Carlo Sgorlon, La tredicesima notte, Milano, Mondadori, 2001, p. 230.

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