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na, così come molte altre nel corso del romanzo: l’idea che non siamo soli, che c’è qualcosa che ci<br />
molesta. Spesso ci sono queste figure, appunto, anche nel racconto di Sgorlon, che improvvisamente<br />
provocano un’irruzione nel quotidiano di elementi grotteschi, di elementi quasi surreali. Questa è una<br />
tecnica usata costantemente da Sgorlon. Ma ancora di più si ritroveranno questi elementi nel secondo<br />
libro di Sgorlon, La notte del ragno mannaro, secondo libro ad essere riconosciuto da Sgorlon, perché<br />
il primo libro del ’58, Un’aurora per Penelope, in realtà Sgorlon lo disconosce, tanto che non ne parla<br />
nella sua Penna d’oro, non si troverà traccia di questo libro (non c’è nemmeno nella Biblioteca Joppi),<br />
ed è un libro che Sgorlon definisce un errore. Sarebbe interessante capire perché viene definito un errore:<br />
cosa c’è in questo libro? Ovviamente per quei curiosoni che sono gli studiosi di letteratura questa<br />
è materia abbastanza ghiotta. Ma nel secondo libro, dicevo, che viene riconosciuto da Sgorlon, La<br />
notte del ragno mannaro, questa situazione di un “eterocosmo”, cioè di un mondo che ha le sue leggi,<br />
che ha le sue regole, che è diverso da quello che è il nostro mondo reale, ma che in realtà coincide<br />
con il nostro mondo reale (e questa è una <strong>Udine</strong> misteriosa), si presenta palesemente. Quindi i primi<br />
due romanzi sono di matrice e di impianto abbondantemente kafkiano. Certo, non senza una qualche<br />
autoironia, non senza un certo giocare anche con le proprie conoscenze di letteratura tedesca: la pagina,<br />
diciamo, più comica da questo punto di vista ne La poltrona è quando il protagonista cerca un libro<br />
che non trova, che è finito chissà dove, e la cui lettura non va avanti, su cui si inceppa continuamente;<br />
e questo libro è L’uomo senza qualità di Musil, di cui si parla come di un libro dove appunto non si<br />
riesce ad andare avanti, un’esperienza che hanno fatto moltissime persone. E qui c’è una certa ironia<br />
nel descrivere la propria esperienza come germanista nella lettura di un libro così impegnativo come<br />
L’uomo senza qualità di Musil. Ma questo è un lato del suo ragionamento su Kafka. La cosa interessante,<br />
però, è che il confronto di Sgorlon con Kafka nasce come un confronto di uno scrittore verso un<br />
altro scrittore. C’è già il tentativo di un superamento delle posizioni di Kafka nel suo libro. E da questo<br />
punto di vista è interessante vedere che c’è una costante in Sgorlon, perché quando si occupa di<br />
altri autori, come abbiamo sentito anche nel caso di Pasolini (in realtà Borghello usava l’espressione<br />
di “corpo a corpo”), si tratta sempre di un confronto diretto in cui l’autore cerca di assimilare le posizioni<br />
dell’altro, ma anche di superarle, di andare avanti. E questo avviene anche nell’opera di Kafka.<br />
Qui non è più il critico che parla, ma alla fine di quest’opera parla lo scrittore, e ne parla nel modo in<br />
cui adesso sentiremo:<br />
Molti aspetti del pensare e vivere contemporaneo trovano nell’opera di Kafka una sintesi agghiacciante. Nonostante<br />
gli sforzi di alcune filosofie ottimistiche, fondate sull’uomo, il nostro mondo pare straziato da isterismi, angosce,<br />
ritorni di barbarie, terrori di distruzioni apocalittiche, senso di estrema precarietà dell’esistenza; è caratterizzato da<br />
strutture disumane, dalla sfiducia nella ragione, dall’insofferenza della norma, dalla mancanza di dialogo e di senso delle<br />
cose, dalla «disponibilità» non illuminata che può sfociare nel gesto gratuito, nella violenza e nella barbarie organizzata.<br />
Anche il motivo centrale dell’opera di Kafka, ossia l’impotenza della ragione e l’impossibilità di approdare a una soluzione<br />
qualsiasi e fermarsi in essa, è in fondo espressione indiretta ma potente del senso di precarietà spirituale del nostro<br />
tempo, dell’accavallarsi disordinato e a volte frenetico delle ipotesi e delle soluzioni, dal quale non può seguire che disagio<br />
spirituale irrimediabile.<br />
Tutti questi aspetti rendono l’opera di Kafka tragicamente attuale e inducono a considerare non del tutto paradossale<br />
l’opinione dello Anders, che Kafka sia uno dei pochi poeti veramente realisti del nostro tempo.<br />
Ma ad un esame più obbiettivo quest’opinione pare eccessiva e forse anche inattuale.<br />
Il nostro tempo, è vero appare tragico e dominato dall’irrazionalismo; ma in fondo ogni tempo è stato tragico, e<br />
può darsi che oggi la tragicità della «condizione umana» sia aumentata dalla maggiore consapevolezza che l’uomo ne ha.<br />
La tragedia del nostro tempo ci pare soprattutto di natura soggettiva, intellettuale e sentimentale. Non pochi indizi però<br />
rendono sperabile che l’umanità sappia ritrovare un nuovo equilibrio e una nuova serenità. Molti uomini di buona volontà<br />
lavorano per l’edificazione di un nuovo umanesimo, per un ritorno all’uomo reintegrato nella usa dignità, nella misura,