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Krull) ma nello stesso tempo sembra che l’autore lo abbia ritagliato su un materiale di origini antichissime,<br />
arcaiche, precedenti a qualsiasi epoca romanzesca. Potremmo addirittura evocare la figura del<br />
“trickster”, cioè quello che Jung e Kerényj chiamano il “briccone divino”, una figura connessa con il<br />
folklore arcaico, con un mondo non razionalizzato e tecnicizzato, una figura che porta sconvolgimenti e<br />
rovescia comicamente gli ordini sociali. Alvar è una versione romanzesca del briccone divino: è abile<br />
e agisce sulla sorte di coloro che lo circondano, modifica i destini, è un “alchimista della fortuna” ma<br />
nello stesso tempo è indefinibile, imprendibile, ha un piede sulla terra e sulla luna, si caratterizza per<br />
il piacere legato al dono, all’elargizione di denaro, al gusto per la festa e per il gioco. Non per niente la<br />
sua apparizione nel paese di Naularo è accompagnata dall’introduzione del cinematografo, cioè di una<br />
grande illusione fondata sulle ombre e sulle immagini, sull’uso di strumenti visivi che modificano il reale,<br />
mentre la sua fortuna è legata all’accumulo di grandi ricchezze dovute all’abilità nel gioco e nella<br />
sfida alla sorte. Sgorlon rivela chiaramente quali sono i materiali mitologici da lui usati nella ideazione<br />
del suo personaggio che è come i personaggi pirandelliani alla ricerca di un’identità sempre sfuggente:<br />
...lui era Nessuno, come l’Ulisse omerico per Polifemo; per chissà quanto tempo, forse per tutta<br />
la vita, avrebbe dovuto continuare a essere uno che non c’era più. Era pensoso e malinconico, anche<br />
se le cose andavano perfettamente secondo i suoi piani (...) Ma, nella sua tristezza di fondo, Alvar si<br />
sentiva anche leggero come una nuvola. Il suo pensiero era sempre lieve, arcanamente staccato dalle<br />
vicende umane, che si annidavano tra loro per formare la storia. Anche il suo corpo e le sue membra<br />
erano educate alla leggerezza, come fosse un acrobata. 1<br />
Dunque una nuova opposizione, l’elemento saturnino della meditazione e dell’angoscia sull’identità<br />
unito all’elemento mercuriale della leggerezza e della passione per la velocità: Alvar può egualmente<br />
guidare la carrozza, vestito come un uomo dell’ottocento in frac e cilindro, e utilizzare l’automobile<br />
o l’aereo, è un uomo al confine tra le epoche, un perfetto equilibrista tra mondi finiti e mondi che<br />
devono ancora sorgere: in lui si consumano i fasti della Belle Époque e le tragedie della prima guerra<br />
mondiale, dopo la rotta di Caporetto. Sgorlon ha volontariamente collocato il suo eroe in una dimensione<br />
epocale dove la fine di un’epoca sfocia nell’apertura di un’epoca nuova. Come accade per quasi tutti<br />
i suoi intrecci storici, la ricchezza dei particolari e dei riferimenti nasconde un secondo piano di lettura,<br />
un piano nascosto che allude a movimenti epocali molto più ampi, all’aprirsi e chiudersi di cicli storici,<br />
alla scomparsa di culture nelle pieghe della storia.<br />
Penso all’Armata dei fiumi perduti dove viene recuperata la vicenda di un’armata cosacca approdata<br />
in Friuli durante la seconda guerra mondiale: i cosacchi, in rivolta contro il regime sovietico comunista<br />
che ha giustiziato lo zar, si trovano nella paradossale situazione di essere alleati dei tedeschi,<br />
a loro volta ex alleati degli italiani. Un episodio storico minore, una memoria di genocidio dimenticata:<br />
Sgorlon la recupera, le ridà consistenza, ma nello stesso tempo ne fa l’allegoria della lotta tra il male<br />
che si annida nei labirinti della storia e un principio di salvezza rappresentato dalla protagonista femminile,<br />
Marta, una donna capace di resistere alle violenze sia dei cosacchi che dei tedeschi e di porgere<br />
un principio di speranza grazie al suo rapporto privilegiato con le forze positive del mondo naturale.<br />
Dunque Alvar è, allegoricamente, al discrimine tra due epoche, è colui che porta nel mondo moderno<br />
i conflitti del mondo appena chiuso: è il Senex che incarna la storia e ne resta dipendente, ed è il<br />
Puer che vorrebbe uscir fuori dalla storia e vederla ricominciare da capo. A questo contribuisce anche<br />
1 Carlo Sgorlon, L’uomo di Praga, Milano, Mondadori, 2003, p. 125.