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121228-sgorlon - Udine Cultura

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Esse scendevano da lontananze misteriose. Anche se parevano venire dalle sue viscere, ammuffite<br />

da una lunga incubazione, e avevano il sapore scorticato e lacerato del parto, esse venivano in<br />

realtà da più lontano. Sentiva in loro l’asma roca e profonda di chi viene da chissà dove. Le vedeva circondate<br />

dal ronzio cosmico di ciò che ha attraversato spazi vertiginosi, e sembra provenire da Andromeda<br />

o da Aldebaran. Quando le scriveva o le sentiva recitare dagli attori, provava i brividi di chi viene<br />

sfiorato da ali di pipistrello o di vampiro. Sapeva che le aveva generate lui, che uscivano da lui, e nel<br />

contempo che venivano da molto più lontano. Era il segnale rivelativo di una forza misteriosa del reale,<br />

che lui aveva soltanto captato in un etere senza fine. La parola poetica era una delle manifestazioni<br />

oscure e inesplicabili della forza della vita, e lui rabbrividiva soltanto a pensarci.<br />

Ma essa nasceva veramente soltanto se si era a contatto immediato con il popolo. Altrimenti<br />

inaridiva, assumeva l’aspetto deformato delle scorie di fusione. Per ciò Oreste continuamente si tuffava<br />

in mezzo al popolo minuto, parlava e viveva con esso, ne avvertiva d’istinto la forza creativa e la fontana<br />

inesauribile del suo amore per la vita. Entrava nelle sue case aperte sul vicolo, sentiva gli odori di sudore<br />

e di cucina degli interni. Stava a parlare con lui, restando sulla strada oppure saliva sulle terrazze<br />

e terrazzini, e accettava bicchieroni d’acqua intorbidati da un dito d’orzata o di tamarindo.<br />

I vecchi erano quelli che avevano più tempo da dedicargli. Piantati a gambe larghe sulle sedie di<br />

paglia, snocciolavano i rosari rievocativi di infinite miserie e infinite fatiche. Oreste sentiva scricchiolare<br />

nei loro racconti gli stridori della pena quotidiana, l’affanno dell’eterno combattere, che attraversava<br />

tutta la collana dei loro anni tartassati e tribolati.<br />

Nel mazzo dei suoi amici v’erano vecchi pescatori di Fregene, di Ladispoli o di Terracina, che<br />

complicate risacche della vita avevano sospinto fino alle periferie della metropoli, e ve li avevano depositati<br />

come spezzoni di legno o di corda di antichi naufragi. Le mandibole scure della morte, che sempre<br />

li sovrastava, che li aveva inghiottiti e risputati cento volte, diventavano nelle loro parole masticate, intrise<br />

di tabacco, più quotidiane del fuoco che cuoceva il loro pesce sopra i fornelli. Pareva che la morte<br />

fosse una donna ammansata e canterina che li cullasse, nelle albe e nelle notti, li consolasse d’esser<br />

nati, e promettesse loro riposi più dolci di quelli già conosciuti nel ventre delle madri.<br />

Accendevano nella mente di Oreste visioni sconvolte di notti passate sul mare. Di onde che venivano<br />

avanti come muraglie d’acqua, che parevano doverli cancellare dalla faccia della terra. Di mari<br />

sconvolti da ringhiose baruffe di libeccio e di grecale. Di cieli fradici di pioggia che pesavano sulle barche,<br />

sul punto di abbattersi sopra di esse per l’eccesso di gravezza.<br />

A forza di provarci e riprovarci, la morte aveva davvero strappato loro un cognato o un fratello,<br />

in una notte di burrasca che non pareva più impestata delle altre. Di essi andavano cercando dopo anni<br />

la jella nascosta in strani segnali che si erano verificati la sera prima, sulla porta di casa o tra le mura<br />

del paese. Erano convinti che i grandi fatti della vita sempre si preannunziavano in qualche modo, con<br />

un tuono a cielo sereno, o con il nove di picche che cadeva loro di mano, durante una partita di ramino,<br />

o una invasione di scarafaggi sulle pietre umide della cucina. Ma parlavano di morti e di naufragi con<br />

quieta mansuetudine, in fondo, perché per loro erano anch’essi cose di tutta normalità.<br />

Uno di loro, un anziano di Ladispoli che si era spinto al largo con i suoi compagni, perché vicino<br />

alla costa pareva che il pesce fosse svanito, aveva visto spuntare e crescere nella notte le mille luci di<br />

un mostro nero che filava sul mare, silenzioso. Aveva un’andatura uniforme come quella di uno squalo.<br />

Era passato a poche centinaia di metri dal peschereccio, diritto per la sua rotta. Non s’era minimamente<br />

accorto di loro, che s’erano azzittiti ed erano rimasti fermi come statue, a guardare, finché era<br />

scomparso. Oreste si era entusiasmato del racconto, e infatti vedevano il transatlantico anche i pescatori<br />

dell’unico dramma di mare che avesse scritto. Poi, tornati a casa, lo raccontavano nella piazza del<br />

mercato, con una filastrocca cantante, alla gente intorno, ai venditori e alle lavandaie. Si sbracciavano,

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