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Carlo Sgorlon: mito, fiaba, racconto<br />
di Marco A. Bazzocchi<br />
Università degli Studi di Bologna<br />
Una delle caratteristiche dei romanzi di Carlo Sgorlon consiste nella molteplicità di eventi, episodi,<br />
intrecci che riescono a comporsi in un’unica avventura mettendo alla prova la visione del personaggio<br />
protagonista, portatore di un sistema di pensiero che cerca di tenere insieme tutti gli aspetti<br />
della realtà. A un tasso molto alto di avventurosità del racconto, corrisponde così un pensiero unitario<br />
sul mondo. Questa opposizione è insita nell’idea stessa che Sgorlon ha elaborato intorno all’arte del<br />
narrare, idea per la quale potremmo evocare la contrapposizione formulata da Walter Benjamin tra il<br />
narratore delle culture orali e il romanziere, l’uno capace di far transitare nei suoi racconti la densità<br />
dell’esperienza che si deposita nella memoria collettiva, l’altro in lotta contro l’oblio per salvare i pochi<br />
residui con cui si caratterizza il destino dei personaggi borghesi.<br />
Se vogliamo osservare da un’altra prospettiva il problema, dobbiamo allora considerare che<br />
per capire l’attività di narratore di Sgorlon è necessario mettere a fuoco il nodo tra narrazione mitica<br />
e astrazione fiabesca, cioè tra forze esterne all’individuo (forze cosmiche, energie della materia) e<br />
incarnazione di queste forze nei comportamenti umani. Per Sgorlon ogni storia narrata parte da realtà<br />
immensamente piccole e circoscritte (microcosmi, spesso di aspetto friulano ben riconoscibile) e fa<br />
lievitare all’interno di questi microcosmi eventi che oltrepassano la percezione ristretta dell’individuo.<br />
Così in lui la Storia rimane sempre sullo sfondo, oltrepassata dalla favola che diventa allegoria. Sono<br />
i narratori tedeschi i suoi modelli: Thomas Mann, per il nesso mito e ironia narrativa, e Kafka, per l’aspetto<br />
allegorico. E se un nome va fatto per l’Italia, è quello di Elsa Morante, una scrittrice atipica e a<br />
sua volta controcorrente, sulla quale Sgorlon ha scritto in sede critica. La concentrazione su microcosmi<br />
e microstorie che gli viene dalla Morante si coniuga così con l’astrazione e la tensione simbolica e<br />
mitica che risalgono a Kafka o a Thomas Mann. Sgorlon è un narratore poco italiano e molto europeo,<br />
e come tale va considerato.<br />
All’incrocio di questa serie di opposizioni (molteplicità delle azioni e unità della visione, ricchezza<br />
narrativa arcaica e coscienza romanzesca, mito e fiaba) possiamo collocare gran parte della produzione<br />
narrativa con cui Sgorlon, in una posizione defilata ma con una attenzione vivacissima, ha interpretato<br />
le vicende culturali del novecento, difendendo il suo ruolo di narratore che non cede alle mode<br />
e che rivendica la funzione nobile e inalienabile del racconto.<br />
Prendiamo ad esempio L’uomo di Praga, il romanzo del 2003 che vede come protagonista il misterioso<br />
Alvar Kunslica, un uomo che compare portando con sé i segnali del destino e dell’incertezza:<br />
è uno straniero di origini misteriose, sembra accompagnato da caratteristiche oltreumane, vive con il<br />
gusto della teatralità e della maschera, si inserisce con abilità nelle vite altrui. Ci sono nel personaggio<br />
alcune caratteristiche tipiche del romanzo moderno (si potrebbe fare il nome del manniano Felix<br />
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