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Atti 15° Congresso Nazionale - Anpi

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SEDUTA DI<br />

APERTURA<br />

SECONDA<br />

SEDUTA<br />

TERZA<br />

SEDUTA<br />

QUARTA<br />

SEDUTA<br />

QUINTA<br />

SEDUTA<br />

SESTA<br />

SEDUTA<br />

e che si deve affermare come totalità. Il problema di teorizzare il<br />

Partigiano risale al 1944, in uno stupendo e dimenticato articolo di un<br />

grande liberale, Guido Dorso, sulla rivista Retusa. Il pezzo si intitolava,<br />

appunto, “Teoria del partigiano”. Se l’ANPI vorrà produrre una<br />

buona antologia di scritti sulla teoria della Resistenza, ben fatta storicamente<br />

– che sarebbe di grandissima utilità culturale – non potrebbe<br />

non partire da quell’articolo che poneva il problema a partire dai primi<br />

Partigiani nelle terre slave. Questo secondo punto che ho richiamato è<br />

un compito di studio.<br />

Il terzo punto su cui chiudo è: arrivano i giovani, i Partigiani invecchiano.<br />

Figuriamoci, cominciano a invecchiare gravemente anche quelli<br />

della mia generazione, che sono stati ben lungi dal fare in tempo a<br />

essere Partigiani: siamo vecchi della politica! Ci vogliono forze nuove,<br />

sentiamo ripetere continuamente. È vero, però i giovani la devono<br />

smettere di chiedere che gli anziani facciano posto a loro. Nessuna<br />

generazione ha mai fatto largo a chi arrivava dopo, se li devono prendere<br />

i posti, non rincorrendoli ma producendo idee, che è l’unica cosa<br />

possibile da farsi.<br />

Non è solo una questione organizzativa, la nostra è un’Associazione<br />

con grandissime potenzialità ma, allo stesso tempo, gravemente a<br />

rischio. A me piace parlar franco: ieri ho ascoltato con particolare attenzione<br />

uno degli interventi più fervidi. Era di un mio compagno e collega,<br />

insegnante di filosofia – mi pare a Milano – il quale a un certo punto<br />

ha detto: “Non siamo un partito ma dobbiamo fare come se lo fossimo”.<br />

No, “come se” vuol dire un partito. Sei mesi di tempo e siamo divisi.<br />

Teniamo ben ferma la nostra ragione storica che è la Resistenza, e<br />

ricordatevi che questo richiede intelligenza storica.<br />

Avrei altri quindici punti da proporvi, ma chiudo su questo. Siamo<br />

a Torino, nel 150°, ma vi rendete conto che il discorso più complesso<br />

sul valore dell’Unità d’Italia è stato fatto dalla chiesa cattolica? Non è<br />

una novità, perché è stato portato a compimento un discorso fatto nel<br />

centenario da Giovanni XXIII all’allora Presidente del Consiglio,<br />

Amintore Fanfani. Per la prima volta il papa disse: “L’unità d’Italia è<br />

un grande valore nel disegno storico provvidenziale”. Questo ci impone<br />

terreni nuovi di ricerca, di studio, di polemica e battaglia, se vogliamo<br />

difendere i valori della laicità. Sempre a partire dalla Resistenza,<br />

che non è un punto morto ma un punto fermo. Deve confrontarsi continuamente<br />

con le novità, ma sapendo che noi siamo quello. E non possiamo<br />

diventare altro, a prescindere dall’anagrafe degli iscritti.<br />

Grazie.<br />

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