Fresh Point Magazine - B2B24 - Il Sole 24 Ore

ing a golden age as they keep gaining market share to
the detriment of traditional brand names. It’s a
dynamic trend that naturally carries along fresh and
fresh-cut produce, whose popularity with Italian
households owes much to effort the big supermarket
chains are making to promote their private label trade.
According to a 2011 Symphony IRI survey of big retail
outlets, private label or in-house items now account for
17.2% of their packaged food sales, for a €9 billion
turnover, a figure that rises to 11 billion is we include the
discount chains. It’s a trend that industry observers had
widely anticipated given the gap still separating Italy
from countries where big retail and, hence, private-label
branding achieved early and widespread success.
An uphill path
In effect, Italy’s far from the numbers the UK posts,
where the private-label sector claims some 43% of
sales. The same hols true for Germany, where it has a
32% share, and France, where it’s 28%. Yet we are
better than the world average, which is just shy of 15%.
«The private label trade – said Gianmaria Marzoli,
Vice-president of Symphony Iri Group – posted higher
numbers than all competitors in 2011, with a 7.1% rise
in turnover, up €600 million on the year. It’s a performance
that also means more shelf space, which was up
3.2%. What’s remarkable, and gives us a yardstick to
gauge the enormous growth potential still latent in the
trade, is the different rate of private-label penetration
throughout the national marketplace In areas like
Emilia-Romagna and Tuscany, the notable efforts of
some chains have pushed its share over 22%. By contrast,
the Campania area brings up the rear with a
10.8% share, although the rate is also below the
national average in other regions like Veneto».
On the other hand, the current trend towards recession
and the stepped-up efforts by the country’s
households to shop for the lowest prices are the main
forces driving the private-label market. Another factor
is the considerable effect generated under the combined
policies of the more or less big chains, policies
that focus on investing heavily in the private-label
sector, broadening its stock and targeting it to segments
by consumer use or by purchasing power.
Demands of discerning consumers
«If we look at the factors inducing consumers to
choose private-label items – noted Guido Cristini, who
holds the chair in marketing at Parma University and is
the coordinator of market analysis at the brand-name
oversight committee – we of course see that the priceto-quality
ratio is the main one. Yet, we’re also beginning
to see signs of the trade’s developing maturity in
that other factors like eco-sustainability, awareness of
the environment and all its related issues, product
innovation, which until now had been the preserve of
tinuano a guadagnare quote di mercato a scapito dei
prodotti di marca. Naturalmente non si sottraggono a
questa dinamica i freschi e gli ortofrutticoli di IV
gamma, la cui diffusione tra le famiglie italiane ha
beneficiato di questa politica commerciale dei retailer
tesa a spingere le pl.
Secondo dati Symphony Iri riferiti al 2011, i prodotti a
marchio del distributore hanno raggiunto quota 17,2%
del mercato del largo consumo confezionato, per un
controvalore di 9 miliardi di euro, che diventano 11 se si
comprende anche il canale discount. Un trend, questo,
che gli analisti avevano ampiamente previsto, visto il gap
che divideva (e tuttora divide) l’Italia dai Paesi che hanno
conosciuto una precoce affermazione della distribuzione
moderna e una conseguente maggior diffusione delle
private label.
Un percorso in salita
Siamo ben lontani, infatti, dalle percentuali britanniche,
visto che in Uk le private label raggiungono un’incidenza
del 43%. O dalla Germania, che si attesta a quota
32% e dalla Francia che arriva al 28%. Ma siamo sopra
alla media mondiale, che sfiora il 15%.
«Le private label nel 2011 – dichiara Gianmaria Marzoli,
vice presidente di Symphony Iri Group – sono andate
meglio di tutti, con una crescita del fatturato del 7,1%,
pari a +600 milioni di euro e un crescente spazio a scaffale,
che ha mostrato un +3,2%. Ciò che colpisce, e che
dà la misura di un grande potenziale di crescita tuttora
inespresso, è la differente penetrazione dei prodotti a
marchio del distributore sul territorio nazionale. In alcune
aree, come l’Emilia-Romagna e la Toscana, anche
grazie all’ottimo lavoro portato avanti da alcune catene,
le private label superano il 22% di quota di mercato.
Fanalino di coda è, invece, la Campania, che mostra
una quota del 10,8%, ma anche altre in realtà, pensiamo
al Veneto, l’incidenza delle pl è ben al di sotto della
media nazionale».
Tuttavia è la crisi economica in atto, e la conseguente
ricerca della massima convenienza da parte delle
famiglie italiane, a spingere sul pedale dell’acceleratore,
assieme all’azione congiunta delle catene distributive
più o meno grandi, che hanno deciso di investire
con forza nei prodotti a marchio, allargando l’offerta e
segmentandola per destinazione d’uso/capacità di
spesa.
Richieste di un consumatore evoluto
«Se guardiamo ai fattori che spingono un consumatore
a scegliere le private label – spiega Guido Cristini,
ordinario di marketing all’Università di Parma e coordinatore
scientifico dell’Osservatorio sulla marca commerciale
– naturalmente il rapporto prezzo/qualità
rimane in primo piano. Tuttavia, e questo è un altro
segnale di maturazione di questo comparto, oggi si
stanno facendo strada altri fattori come la sostenibilità,
Fresh Point Magazine n.3 – march/marzo 2012
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market/private label Marca
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