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Sara Pagliano ALIA VERITATIS NORMA - Lettere e Filosofia ...

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dell’esistenza delle cose; sicché non siamo mai noi quelli che affermano o negano alcunché<br />

della cosa, ma la cosa stessa è ciò che di sé afferma o nega alcunché in noi 228 .<br />

Niente soggetto della conoscenza che si erga al di sopra delle idee, giudicandole<br />

affermandole o negandole, niente divina volontà, che come autonoma facoltà sancisca<br />

l’idea dell’intelletto nella sua correttezza o meno, niente sostanza come luogo dove<br />

appaia quella pittura muta che è l’idea nella teoria della conoscenza cartesiana.<br />

Figuriamoci cosa possiamo farcene di un dio non ingannatore come sommo garante e<br />

ultimo ricorso possibile in questo precipizio dei fondamenti.<br />

«Habemus enim ideam veram et idea vera debet cum suo ideato convenire». Rigido? Assai<br />

efficace, piuttosto. La verità produce, e nel suo produrre si conferma come tale. Non si può<br />

partire da altro che dal possesso certo del vero e svolgerlo. Porsi problemi antecedenti, un<br />

metodo del metodo del metodo e così all’infinito è ritardare infinitamente quel fatto dato che è il<br />

vero e del quale è impossibile dubitare. «Nessuno che ha un’idea vera ignora che l’idea vera<br />

implica una somma certezza» 229 . Avanzare il dubbio per non assumere ingenuamente il vero è<br />

ingenuamente porsi in una posizione critica. Critico è assumersi il vero in quanto realtà che<br />

scandisce istantaneamente attualmente l’idea della nostra mente, è non concepire astrattamente i<br />

nostri pensieri come finzioni di una mente folle scollata dalla realtà, e la realtà stessa come<br />

qualcosa di sempre al di là, possibile, contingente, non necessaria, persa in infinite misurazioni<br />

di misurazioni di conformità. «Idea vera debet cum suo ideato convenire». Debet: dovere<br />

ontologico e morale. Dare dignità ai nostri pensieri è assumerli sotto la forma del vero,<br />

assumersi la responsabilità del fatto che «l’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana è il<br />

Corpo», che la mente non solo non è entità separata dal corpo e da esso inscindibile, ma<br />

nemmeno è sostanza. La mente non è luogo dove appaiano «pitture mute», ma è il processo<br />

delle idee mai svincolato da quello del reale 230 . Ogni pensiero ha necessariamente un<br />

equivalente segno fisico all’interno di una simultanea quanto incommensurabile assegnazione<br />

determinata nel processo infinito delle cause, identico nell’ordine dei pensieri e delle cose. La<br />

falsità dell’uno intacca necessariamente l’altro, spingendo in un’impotenza che è davvero<br />

l’unica cosa non reale, perché «l’idea vera sta alla falsa come l’ente al non ente» 231 . Tentare di<br />

essere geometrici ha a che fare non tanto con un rigido dogmatismo, quanto piuttosto con un<br />

bisogno intrinseco ed infinito, conatus insopprimibile, di pensare agire veramente. Ci sforziamo<br />

soltanto, indefinitamente, di essere 232 . Non c’è niente di meno rigido che essere liberi di essere<br />

necessariamente ciò che si è, questo è il massimo della fluidità, ed è esser atti all’interno di un<br />

continuo ed infinito processo che è il reale.<br />

«Se lo neghi, concepisci se è possibile» 233 . La concepibilità, quando si tratta di un’idea che<br />

valga questo nome, non è un fatto soggettivo. «La falsità è un’affermazione (o negazione) di<br />

una cosa che non conviene con la cosa stessa» 234 , e, «sebbene a parole si possa dir tutto» 235 ,<br />

quando la mente comprende, l’inconcepibilità reale è inconcepibilità soggettiva, ovvero ci è<br />

impossibile concepire quel concetto, in quanto falso. E l’assurdo al quale tentiamo di forzare la<br />

mente è davvero l’origine della follia come rottura di ogni ordine e privazione di realtà,<br />

sottrazione d’essere. Pensare adeguatamente, ordinatamente, «scire per causas», significa avere<br />

realtà, avere ed essere in quella realtà che siamo, che continuamente si costituisce e muta, non<br />

come ignari, non come passivi ma come parte di un processo che ci tocca e che tocchiamo<br />

continuamente.<br />

228 KV, II, 16..<br />

229 E, II, pr. 43, sch.<br />

230 Cfr. E. Giancotti, «Sul concetto spinoziano di mens», in Ricerche lessicali su opere di Descartes e<br />

Spinoza (a cura di G. Crapulli ed E. Giancotti), Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1969, pp. 119-184.<br />

231 E, II, pr. 43.<br />

232 Cfr. E, III, pr. 7: «La forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro<br />

che la sua attuale essenza»; e ivi, pr. 8: «La forza, con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel<br />

suo essere, non implica un tempo finito, ma indefinito».<br />

233 E, I, pr. 11, dem.<br />

234 KV, II, 15.<br />

235 TIE, p. 109.<br />

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