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Sara Pagliano ALIA VERITATIS NORMA - Lettere e Filosofia ...

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Così, delle cose non abbiamo «esperienza vaga», né le conosciamo «da segni», tanto meno ci<br />

sono note per un calcolo, ma «con uno sguardo vediamo» 498 la loro essenza. Questo sguardo è la<br />

verità singola nell’infinito e per l’infinito.<br />

Ed è per questo, infine, che reciprocamente «Quo magis res singulares intelligimus, eo magis<br />

Deum intelligimus» 499 .<br />

Perché conoscere le cose adeguatamente significa simultaneamente dare e avere Realtà, non in<br />

una corrispondenza estrinseca ma in una consapevolezza intima che è uguale al conatus con il<br />

quale ci liberiamo dallo schermo dell’immaginazione e dalla prigione delle passioni, per<br />

ricostituire con un «supremo sforzo» 500 l’ordine necessario per il quale siamo e pensiamo, ed in<br />

virtù del quale solo possiamo essere attivi 501 . Ossia Liberi.<br />

Solo superando la visione immaginativa che presenta le cose soffocate in un’astratta e vuota<br />

molteplicità e temporalità, ed oltrepassando la conoscenza razionale, che offrendoci le nozioni<br />

comuni e le idee adeguate delle cose «mostra ciò che la cosa deve essere, ma non ciò che<br />

effettivamente è» 502 , si può giungere alla conoscenza adeguata della propria essenza, come<br />

dell’essenza di tutte le cose singolari. Conoscenza definita «scienza intuitiva» 503 , e che non è<br />

altro se non la consapevolezza del legame necessario esistente tra l’essenza della Sostanza e<br />

l’essenza di ogni sua particolare manifestazione, come modo singolo necessario ed eterno della<br />

Realtà infinita.<br />

Le cose sono da noi concepite come attuali in due modi, o in quanto concepiamo che esse<br />

esistono in relazione a un certo tempo e luogo, o in quanto sono contenute in Dio e seguono<br />

dalla necessità della divina natura 504 .<br />

Concepire le cose in questo secondo modo è conoscerle «sub specie aeternitatis» 505 , e<br />

non «sub quadam aeternitatis specie» 506 , ossia conoscerle non in ciò che hanno in<br />

comune, ma nella loro essenza singolare in virtù della consapevolezza dell’implicazione<br />

necessaria dell’essenza eterna e infinita di Dio. Questo sguardo verso le cose e noi stessi<br />

è uno sguardo libero finalmente da pregiudizi fini e modelli, numeri misure e tempo, e<br />

radicato invece in quell’alia norma che mostra le cose come sono e non nella «finzione<br />

chimerica» 507 di come vorremmo che fossero. Sguardo geometrico, che riproduce le<br />

cose nell’onestà della loro Causa, nella spontaneità e necessità della loro Legge, e che,<br />

riflettendo nella sua attività di conoscenza la vita necessaria del Tutto, conferisce<br />

similmente a se stesso e alle cose la più alta dignità possibile: l’essere manifestazione<br />

necessaria certa e determinata dell’infinita realtà della Sostanza.<br />

Possedere questa consapevolezza di sé e delle cose è partecipare coscientemente all’ordine<br />

razionale ed eterno per il quale e nel quale siamo. Solo in questo supremo sforzo geometrico di<br />

ordine, di desiderio inesauribile di conoscenza delle cause e di trasparenza delle cose, si apre<br />

l’orizzonte di un’azione libera, come necessità assoluta di esser causa di se stessi all’interno<br />

della determinazione della serie infinita delle cause.<br />

498 E, II, pr. 40, sch. 2.<br />

499 E, V, pr. 24.<br />

500 Cfr. E, V, pr. 24: « Il supremo sforzo della Mente e la sua somma virtù consistono nel conoscere le<br />

cose secondo il terzo genere di conoscenza».<br />

501 Cfr. E, III, def. II: «Dico che agiamo quando in noi o fuori di noi avviene qualcosa di cui noi siamo<br />

causa adeguata, cioè […] quando dalla nostra natura, in noi o al di fuori di noi segue qualcosa che può<br />

essere compreso chiaramente e distintamente soltanto per mezzo della nostra natura. E al contrario siamo<br />

passivi quando in noi accade qualcosa, o dalla nostra natura segue qualcosa di cui noi non siamo che<br />

causa parziale».<br />

502 KV, II, 4.<br />

503 Cfr. E, II, pr. 40, sch. 2.<br />

504 E, V, pr. 29, sch.<br />

505 Cfr. E, V, pr. 29, sch. e pr. 31, e dem.<br />

506 Cfr. E, II, pr 44, cor. 2. «De natura Rationis est res sub quadam aeternitatis specie percipere».<br />

507 TP, cap. 1, 1.1.<br />

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