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Sara Pagliano ALIA VERITATIS NORMA - Lettere e Filosofia ...

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cui ho fatto uso per dimostrare l’esistenza di Dio e la distinzione fra lo spirito e il corpo<br />

umano: il che non sarà forse di piccolo giovamento per alleviare l’attenzione dei lettori 283 .<br />

2.3 Atto secondo<br />

I filosofi volgari cominciano dalle creature, Cartesio aveva cominciato dalla mente, ma lui<br />

[Spinoza] cominciava da Dio 284 .<br />

«E, certo, non si deve trovare strano che Dio, creandomi, abbia messo in me questa<br />

idea, perché fosse come la marca dell’operaio impresso sulla sua opera» 285 , «ut esset<br />

tamquam nota artificis operari suo impressa». Secondo l’ordine delle Meditazioni la<br />

prima esistenza che l’io incontra, dopo aver certificato la propria, è Dio. Il recupero di<br />

quel mondo inabissato dal dubbio richiede preliminarmente l’acquisizione di due verità<br />

fondamentali, ossia «debbo esaminare se v’è un Dio […] e se trovo che ve ne sia uno,<br />

debbo anche esaminare se esso può essere ingannatore» 286 . Altrimenti l’io resta dov’è,<br />

prigioniero di sé come «cosa che pensa» 287 , del suo «interno» 288 e delle sue “pitture”,<br />

«perché, senza la conoscenza di queste due verità, non vedo come io possa mai essere<br />

certo di qualche cosa» 289 .<br />

Se la realtà oggettiva di qualcuna delle mie idee è tale che io conosca chiaramente che essa<br />

non è in me, né formalmente, né eminentemente, e che, per conseguenza, non posso io<br />

stesso esserne la causa, segue da ciò necessariamente che io non sono solo nel mondo, ma<br />

che vi è ancora qualche altra cosa che esiste, e che è la causa di quest’idea 290 .<br />

Ma questa nota che imprime in noi il marchio metafisico della nostra origine non ci<br />

avvicina di un sol passo alla radice del nostro essere. Anzi, è l’esatto segno nel quale<br />

l’io si conosce irrimediabilmente separato, radicalmente differente e senza misura<br />

alcuna, incommensurabile a questo Altro:<br />

Con il nome di Dio intendo una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente,<br />

onnisciente, onnipotente e dalla quale io stesso, e tutte le altre cose che sono (se è vero che<br />

sono esistenti), siamo stati creati e prodotti 291 .<br />

Ed è proprio l’incolmabile sproporzione tra il mio intelletto finito, assolutamente<br />

inadeguato, e tale idea infinita, sommamente perfetta, a rendermi certo della Sua<br />

esistenza.<br />

E, per conseguenza, bisogna necessariamente concludere, da tutto ciò che ho detto per lo<br />

innanzi, che Dio esiste; poiché sebbene l’idea della sostanza sia in me per il fatto stesso che<br />

sono sostanza, non avrei, tuttavia, l’idea di una sostanza infinita, io che sono un essere<br />

finito, se essa non fosse stata messa in me da qualche sostanza veramente infinita 292 .<br />

283 Ivi, pp. 146-47.<br />

284 Cit. in De Angelis, Il metodo geometrico nella filosofia del Seicento, cit., p.81. Questa testimonianza ci<br />

è stata conservata da Leibniz, al quale Tschirnhaus aveva riferito la frase. Il frammento leibniziano è stato<br />

pubblicato da Karl Gebhardt, Leibniz und Spinoza in «Sitzungsberichte der preussischen Akademie der<br />

Wissenschaften zu Berlin», 28 nov. 1889, p. 1706 e riprodotto da Ludwig Stein in appendice a Leibniz<br />

und Spinoza, Berlino, 1890.<br />

285 R. Descartes, Meditazioni Metafisiche, cit., p. 48.<br />

286 Ivi, p. 35.<br />

287 Ivi, p. 27.<br />

288 Ivi, p. 33: «e così intrattenendo solamente me stesso e considerando il mio interno cercherò di<br />

rendermi a poco a poco familiare a me stesso».<br />

289 Ivi, p. 35.<br />

290 Ivi, p. 40 (corsivo mio).<br />

291 Ivi, p. 43.<br />

292 Ibid.<br />

44

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