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LA CORTE BENEDETTINA DI LEGNARO Vicende ... - Giuliocesaro.it

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<strong>LA</strong> PRESENZA DEI MONACI <strong>DI</strong> SANTA GIUSTINA A <strong>LEGNARO</strong> E NEL<strong>LA</strong> <strong>CORTE</strong>La serie di casi or ora menzionati dimostra non solo labenevolenza dei papi e dei vescovi verso l’abbazia, mapure l’avvio di una presenza e di un concreto interessedei monaci per il terr<strong>it</strong>orio di Legnaro. Presenza chesi sarebbe maggiormente rafforzata nel momento incui i monaci avessero potuto disporre di più numerosopersonale. Con tali forze avrebbero potuto non soloseguire direttamente l’evolversi del rapporto con gliab<strong>it</strong>anti, ma ne avrebbero assunto il ruolo di protagonisti,in specie quando gli amministratori del monasterosi fossero impegnati a prendere l’iniziativa di promuovernele bonifiche e d’intervenire nella coltivazionedei campi. I cellerari, oltre ad assumere le iniziative sisarebbero avvalsi di valenti aiutanti, per lo più estrattidalla categoria dei commessi o fratelli laici, chiamatianche conversi: ist<strong>it</strong>uzione, quest’ultima che doveva lesue origini all’ordine cistercense, poiché a loro fu ordinariamenteaffidata la gestione delle grancie, o granze,sparse nei terr<strong>it</strong>ori dipendenti dai monasteri, in terreniper lo più riscattati da interventi di bonifica, comeoccorse, nel Duecento e nel Trecento, nel terr<strong>it</strong>oriopedemontano di Treviso, presso il fiume Piave, per ledipendenze del monastero cistercense di Follina nellagranza di Sottoselva 20 .L’attuale documentazione archivistica non permette diconoscere il preciso momento in cui l’abbazia di SantaGiustina acquisì la chiesa di San Biagio di Legnaro– di cui peraltro è ignota l’epoca d’origine – la pienaproprietà dei terreni e il dir<strong>it</strong>to di decima. Ci si devepertanto affidare ad alcune esplorazioni che assumonola veste di saggi, di esempi, su come i monaci lungo isecoli hanno gest<strong>it</strong>o il loro patrimonio fondiario, racchiusoin una consistente porzione del terr<strong>it</strong>orio diLegnaro, economicamente ricadente sulla competenzadella Corte del monastero, cioè Legnaro dell’Abbà edIsola dell’Abbà. Le due realtà, ora rientranti in due differenticomuni, erano considerate come un’unica grandeent<strong>it</strong>à fondiaria, suddivisa in campagne, chiusure elivelli, di varia estensione per circa 1.550 campi, comeattesta la perticazione (descrizione con misure) effettuatanel 1795 21 , un decennio prima che i monaci fosseroestromessi dai loro antichi possedimenti.IL DUECENTOL’abbazia di Santa Giustina, nel secolo consideratod’oro dagli studiosi per l’affermarsi della corrente monasticariformata padovana dei monaci albi sapientementeguidati dal priore Giordano Forzatè 22 , dovette assisterealla scelta della via dell’eremo del proprio abate Stefanosal<strong>it</strong>o sul Monte Venda, mentre il suo successore Arnaldoda Limena (1209-1255), oltre a dover affrontare unacrisi spir<strong>it</strong>uale al suo interno e un’altra pol<strong>it</strong>ica al suoesterno con il signore Ezzelino da Romano 23 , fu impegnatoda due contrasti divampati con i propri feudataridi Legnaro. Il primo fu guidato dal notaio Benedettode Gunciis: la controversia riguardava il rifiuto di corrispondereil tributo feudale annuo e la decima. Perla soluzione della vertenza si ricorse prima al vescovoe successivamente al papa, il quale delegò il canonicoAcerbo della pieve di Conselve d’intervenire: il giudiziofinale favorì i monaci di Santa Giustina (1232). Dueanni dopo si dovette ricorrere alla curia pontificia peravere ragione dei ribelli, i quali avevano come corifeoMainerio di Enrigeto da Legnaro ab<strong>it</strong>ante allora inPadova, che si era permesso di infrangere il giuramentovassallatico con la vend<strong>it</strong>a di un feudo senza ottenerneil dovuto permesso dall’abate: il giudice delegato pontificioUguccione, abate di Gavello (Rovigo), sentenziòdi nuovo in favore dei monaci 24 .Le difficoltà incontrate dall’abate nei rapporti con ipropri feudatari, specie con quelli di Legnaro è vistodal Rigon come un sintomo di uno sfaldamento delpotere di indirizzo dei monaci nei riguardi della societàcivile, allora in fermento nella Marca trevigiana per lapresenza dei signori da Romano 25 .L’abate Jacopo da Limena (1256-1269) continuòdurante il suo governo la pol<strong>it</strong>ica segu<strong>it</strong>a dal parentee confratello Arnaldo: infatti nel rinnovare il 12 aprile1259 un livello composto di un sedime di mezzo campoe di tre appezzamenti di terra ad Isola dell’Abbà,per la durata di ventinove anni, chiese ai contraenti,Giovanni del fu Verde e ai suoi fratelli Giovanni eSulimano, cinque soldi di piccoli, concedendo loro ilpotere di venderlo ad altri. Il livellario avrebbe dovuto35

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