<strong>LA</strong> PRESENZA DEI MONACI <strong>DI</strong> SANTA GIUSTINA A <strong>LEGNARO</strong> E NEL<strong>LA</strong> <strong>CORTE</strong>durante il governo dell’abate di Giovanni Evangelistada Padova il 6 luglio 1600 era rettore fra Arnaldo: unincarico che lo aveva visto ricoprire il ruolo dal 1598al 1618 220 . L’abate Orazio Barbisoni il 27 giugno 1643nominò governatore della Corte l’abate t<strong>it</strong>olare ModestoSanta Croce da Padova, comp<strong>it</strong>o che gli fu rinnovatofino al 1648 avendo come serv<strong>it</strong>ore ed aiutantefra Battista 221 , il quale alla morte dell’abate Modestoassunse dal 10 luglio 1649 la responsabil<strong>it</strong>à dellagestione del patrimonio fondiario di Legnaro 222 .Il 9 luglio 1650 fu nominato rettore della Corte il cellerarioprimo don Teodoro 223 , cui subentrò, su nominadell’abate Giovanni Battista Pastecca da Padova, ilcommesso fra Giulio da Bergamo 224 . Il commesso perdurònella mansione fino al 28 maggio 1663, quandofu r<strong>it</strong>irato a Santa Giustina per assolvere al comp<strong>it</strong>o diaddetto al forno et bugada 225 , e gli subentrò fra Paoloda Vicenza 226 . L’amministrazione del religioso vicentinodurò fino al 1694, allorché gli fu prefer<strong>it</strong>o dall’abateMassimo Gervasi da Belluno fra Pietro da Vicenza:fra Paolo passò in quella occasione in subordine, purrimanendo a Legnaro 227 . Dalle nomine dell’11 giugno1695 è ancora rettore della Corte fra Pietro da Vicenza,ma sottoposto alla sopra intendenza del padre cellerarioprimo residente in Santa Giustina 228 . L’abate Alvise Selvaticonel rinnovargli l’incarico il 3 luglio 1702 non sololo sottopose alla sopraintendenza del primo cellerario,ma gli ingiunse che «dovrà ubbidire con pontual<strong>it</strong>àa quanto li sarà comandato dal padre cellerario 3º diPadova» 229 : tale ordine perentorio credo debba interpretarsicome un segno di difficoltà di dialogo tra gliamministratori e di lim<strong>it</strong>azione della libertà nelle decisioniriguardanti la gestione dei cospicui beni.Il 27 maggio del 1724 l’abate Pellegrino Ferri assegnò«al governo della Corte di Legnaro con la sopraintendenzadel padre cellerario primo fra Pietro di Vicenza efra Placido di Vicenza suo compagno, i quali dovrannotutte le feste principali venire a Padova a far con li altrifratelli comessi la santissima comunione» 230 ; lo stessoincarico fu ripetuto nel 1726 e nel 1728. Il 2 giugno1729, essendo abate Giannantonio Orsato, iniziò il suoservizio fra Giammaria da Roncajette con gli obblighidei suoi predecessori. L’abate Agostino Bianchi daVenezia reincaricò fra Giammaria nel 1735 e il 21 maggio1738 231 , mentre Pietro Antonio Civran, abate, il 18maggio 1741 e l’11 giugno 1745 lo assegnò alla medesimafunzione, che fu rinnovata sia dall’abate CristoforoCabrini da Bergamo, il 12 giugno 1748, sia dall’abateBenedetto Olmo da Bergamo il 4 dicembre 1751 e il 3luglio 1754, sia dall’abate Giorgio Thiera da Udine il 7giugno 1757 232 e nel 1759 233 .Il cambiamento di gestione si effettuò 12 luglio 1760con la nomina a rettore della Corte di fra Felice daPiove da parte dell’abate Thiera alle sol<strong>it</strong>e condizionidi essere soggetto ai cellerari. Il giorno 8 giugno 1763l’abate Pier Antonio Civran nominò rettore fra Biagioda Padova 234 , mentre il 27 maggio 1766 l’abate Civrandesignò fra Mauro Lavoradori da Venezia: incarico chegli fu rinnovato nel 1772 dall’abate Marco Molin 235 . Il2 dicembre 1780 l’abate Antonio Tron designò rettorefra Mauro da Venezia, carica rinnovata il 6 giugno 1787dall’abate Attilio Calini da Brescia 236 e il 4 dicembre1790 dal medesimo abate 237 . Fra Andrea Giacomoni daVicenza fu nominato rettore il 5 giugno 1793 dall’abateGio. Alberto Campolongo 238 ; nel 1803 il Giacomonirisulta addetto alla spenderia di Correzola e forno,mentre negli ordini del monastero emanati dall’abatein carica non è menzionato il rettore della Corte 239 .La mancata nomina di un successore ormai preludevaall’avocazione dei fondi agricoli al Demanio dello Stato,avvenuta nel 1806, che poneva fine alla secolare presenzadei monaci nella porzione del paese che si denominavaLegnaro dell’Abbà.Al termine di questa carrellata di nomi, ma anche di persone,che ebbero la responsabil<strong>it</strong>à diretta di una correttagestione dei fondi, oltre che di un fecondo rapporto coni contadini, ci si può chiedere com’era strutturata tuttal’azienda nel suo complesso? Un elemento di conoscenzaci è offerto da una misurazione dei possedimenti, effettuatanel 1795, che la descrive in modo dettagliato 240 .Come avveniva nel vasto possedimento di Correzzola ifondi erano posti sotto la protezione dei santi per lo piùestratti dal calendario monastico, per cui si incontranonelle int<strong>it</strong>olazioni Benedetto da Norcia, Antonio di57
FRANCESCO G.B. TROLESEPadova, Giustina, Andrea, Giuseppe, Giovanni, La BeataVergine, Vincenzo, Biagio, Michele, Leonardo, Domenico,Scolastica, Girolamo, Francesco, Bartolomeo, Felice,Prosdocimo e Fidenzio: una schiera di protettori chevigilavano sui raccolti, sulle famiglie e sulle persone chevi ab<strong>it</strong>avano. Le fattorie (o case coloniche in numero di24) erano tutte dotate di una solida costruzione di muro,con aia per l’essiccazione dei cereali, forno, pozzo, orto epiccolo brolo come attesta la descrizione dell’appendiceASP, Catasto austriaco, f. 11.II. I casoni (se ne conoscono 14) erano presenti solamentein alcuni dei piccoli appezzamenti di terreno, chiamatichiusure, dove ab<strong>it</strong>avano gli arsenti, in altre parole i lavoratoriavventizi, assunti a giornata.La Corte continuò tuttavia ad essere al centro di tuttaun’attiv<strong>it</strong>à agricola, abbracciante anche altre terre giàdi pertinenza di diversi enti religiosi soppressi, i cuiprodotti, oltre che da Legnaro e da Isola dell’Abbà,giungevano anche dal contiguo comune di Polverara:la Corte, ormai gest<strong>it</strong>a direttamente e controllata dafunzionari governativi, era affidata nel secolo XIX arappresentanti di d<strong>it</strong>te che se ne aggiudicavano l’aff<strong>it</strong>tomediante pubblico appalto. Gli edifici residui, dopoesser serv<strong>it</strong>i come centro di raccolta e di lavorazione deiprodotti della terra, passarono in gestione con il cambiaredei governi a diversi f<strong>it</strong>tavoli fino a giungere inmani private. Per lo stato dei locali lasciati dai monacisi veda la descrizione dell’ingegnere Giuseppe MariaPivetta, redatta nel 1825, in Appendice I.Il Legnaro dell’Abate nel corso dei secoli ha sì perso la suaconnotazione di luogo silvestre, dov’era possibile raccogliereabbondantemente la legna dalla selva denominataNemora; tuttavia gli edifici, fatti costruire dai monaci conil fattivo concorso della popolazione residente, stannoancora a testimoniare con le loro pietre che la civiltà deimonaci anche, ai nostri giorni, afferma un proprio valoreche perdura nel tempo e che rinvia all’Operatore di ognibene, al quale i figli di san Benedetto si erano, e si sono,interamente dedicati per tutta la v<strong>it</strong>a.Non è senza significato che gli attuali ab<strong>it</strong>anti di Legnaro,almeno quelli di antico ceppo, per le feste di Natalesi sentano in dovere di venire a pregare con i monacinella Basilica di Santa Giustina, poiché si riconosconoancora a casa propria, nonostante la lunga assenza deimonaci dalle loro terre: infatti gli antenati, con le lorofatiche e i loro sudori, concorsero non solo ad innalzarele splendide e secolari mura dell’abbazia e della chiesa,ma ad entrare in comunione di v<strong>it</strong>a con le centinaia dimonaci che animarono i chiostri, dedicati ai più antich<strong>it</strong>estimoni della fede cristiana: la martire Giustina e ilvescovo Prosdocimo.58