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LA CORTE BENEDETTINA DI LEGNARO Vicende ... - Giuliocesaro.it

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<strong>LA</strong> PRESENZA DEI MONACI <strong>DI</strong> SANTA GIUSTINA A <strong>LEGNARO</strong> E NEL<strong>LA</strong> <strong>CORTE</strong>IL QUATTROCENTOIl nuovo abate, fin dall’inizio, si premurò di controllarepienamente l’amministrazione dei beni del monasteroper ev<strong>it</strong>are che i monaci – in dieci anni si ebbero 200professioni religiose – dovessero vagare fuori del cenobioper procurarsi il necessario a vivere, per dedicarsipiù intensamente alla preghiera. Il rinnovo dei contratti(livello, feudo, locazione) secondo il vecchio formularionotarile («ad renovandum perpetual<strong>it</strong>er»), diede ad<strong>it</strong>o– quando i cellerari, Antonino da Milano e Celso daMilano, decisero, intorno alla metà del secolo, di variareil tempo e le condizioni dei patti agrari – a lunghe edispendiose controversie.Alla metà del secolo XV la comun<strong>it</strong>à di Santa Giustina,infatti, era venuta a trovarsi in grosse difficoltàeconomiche, impegnata com’era nei lavori d’ampliamentodel monastero, tra i quali la costruzione deldorm<strong>it</strong>orio e dell’infermeria, oltre che nell’acquistod’indumenti per i suoi membri; per questo ricorse adun prest<strong>it</strong>o che fu elarg<strong>it</strong>o dal protonotario apostolicoGuido Gonzaga 59 , benemer<strong>it</strong>o, inoltre per aver favor<strong>it</strong>ol’adesione alla riforma di Santa Giustina del monasterodi San Benedetto di Polirone, di cui era abatecommendatario.Nella controversia, durata una decina d’anni, l’azionedegli amministratori fu indirizzata, specie dopo le larghedisponibil<strong>it</strong>à finanziare dovute alla vend<strong>it</strong>a dellepossessioni s<strong>it</strong>uate a Mason Vicentino, ad un riscattodei possedimenti mediante il passaggio dalla condizionedi livello, sui quali il monastero non aveva la pienadisponibil<strong>it</strong>à, a quella di terreno concesso in locazionealle famiglie che da lungo tempo risiedevano sui possedimentie sui quali avevano apportato delle migliorie,sia sulle ab<strong>it</strong>azioni dei residenti, sia sui fondi agricolisottoposti ad una bonifica, qualora il terreno fosse statosoggetto a ristagno delle acque piovane.In effetti in quest’ultimo caso, al pari di ciò che si realizzavanegli altri possedimenti, i cellerari si preoccuparono,in occasione dei rinnovi dei contratti agrari, diincludere la clausola che imponeva ai contadini di effettuarenei periodi liberi dall’impegno della coltivazionedel terreno, lo scavo dei fossi e la loro pulizia, ciò perfacil<strong>it</strong>are il deflusso delle acque.Il Comune di Padova in un dispos<strong>it</strong>ivo del suo Codicestatutario, risalente al 1362, si era preoccupato d’intervenireper la regolamentazione dei fiumi, dei fossati,delle strade e per la generale bonifica dei terreni: perquesto anche il terr<strong>it</strong>orio di Legnaro fu soggetto a talidisposizioni. Infatti si deliberò che a Legnaro dell’Abatei pubblici corsi d’acqua dell’Orsaro, dell’Isoladell’Olmo, della Valuvana e della Valle Saume fosseroripul<strong>it</strong>i, riscavati e dotati di appropriati argini con l’innalzamentodi quelli già esistenti 60 .Il mutamento della gestione del patrimonio fondiario,arch<strong>it</strong>ettato dai cellerari, incontrò la netta opposizionedi diversi aff<strong>it</strong>tuari e livellari del monastero. Infatti, imonaci nel rivendicare i dir<strong>it</strong>ti dell’abbazia erano staticostretti a rompere la lunga tradizione di una liberagestione, da parte dei contadini, sui terreni del monastero,poiché costoro non coinvolgevano l’amministrazione(cellerari, economi, fattori) prima di giungereal passaggio di gestione, ma solo a fatto compiuto. Lalibera decisione suoi poderi e gli edifici annessi si effettuavanopure cedendoli in dote a proprio piacimento,pregiudicando i dir<strong>it</strong>ti del monastero: ciò era accadutoper la mancata vigilanza dei monaci; per questo, quandosi decise d’interrompere la consuetudine invalsa,s’incontrarono forti resistenze presso i contadini 61 .La difficoltà di dialogo tra il monastero e gli uominidi Legnaro dell’Abbà e d’Isola dell’Abbà, aff<strong>it</strong>tuari olivellari, originò un esposto inoltrato nella primavera del1458 al doge di Venezia perché impedisse la minacciataespulsione dalle terre abbaziali di coloro che da lunghianni le coltivavano gravibus cum laboribus et expensis,vale a dire con pesanti fatiche e spese, sost<strong>it</strong>uendoli concontadini provenienti dal milanese («rusticos Mediolanenses»)62 . I poveri ricorrenti, inoltre, ricordarono aldoge che avevano sempre onorato i loro aff<strong>it</strong>ti e per ladecima avevano pagato, e pagavano, annualmente cinquesoldi di piccoli e un quartiere di frumento al campo.I monaci dal loro canto, andando contro quanto si erada lungo tempo praticato, pretendevano di raccoglierela decima direttamente in agro, vale a dire sul campo,41

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